Banche: un anno vissuto pericolosamente | Mercati che fare

Per il sistema bancario italiano, il 2017 è stato un anno vissuto pericolosamente. La rivoluzione è appena cominciata. Stefano Caselli, Prorettore per gli Affari Internazionali Uni. Bocconi, commenta quanto è accaduto all’intero comparto bancario e al mondo dei finanziamenti alle imprese. Qual è la situazione delle banche, ad oggi? Cosa è successo? Soprattutto, cosa deve ancora succedere?

Introduzione

Un anno vissuto pericolosamente, sul filo del rasoio. Montepaschi prima, Veneto Banca e Popolare di Vicenza dopo. E poi, i dubbi su Carige, ed i tanti piccoli istituti sparsi sul territorio, banche di cui non si ricorda con facilità neanche il nome. Banche di cui, spesso, non si sa neanche l’esistenza.

E’ la dura legge del bail-in. Banche chiuse per decreto o per necessità, banche fallite. A cominciare dalle quattro di fine 2015. Soprattutto tanti risparmiatori che hanno visto vaporizzarsi i risparmi di una vita. Risparmi inconsapevolmente investiti in titoli bancari, azioni in primis, ma anche tante obbligazioni subordinate.

Nessuno avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe accaduto; nessuno prima che accadesse. Non certo i risparmiatori, almeno. Ma gli organi di controllo avrebbero dovuto e potuto farlo, loro sicuramente. E la rivoluzione è appena cominciata.

Gli sportelli spariranno, così come sono sparite le cabine telefoniche dalle strade. Il meteorite è caduto, trasformando le banche come le conoscevamo in una razza in estinzione.

I salvataggi delle banche e la sistemazione dei loro conti hanno riportato un po’ di sereno?

Sembra che, finalmente, si sia arrivati alla conclusione di una vicenda molto lunga. Per fortuna, perché è bene che il sistema bancario esca da sotto i riflettori. Non fa bene neanche alle banche sane questa attenzione ossessiva verso il settore. L’aspetto più importante è quindi che queste vicende sembrano chiuse. Per Montepaschi lo Stato adesso è azionista; Intesa sta provvedendo all’inglobamento delle due venete. C’è comunque ancora da lavorare parecchio.

Col senno di poi, era giusto salvare ciò che si è salvato?

Facile giudicare ora che tutto è finito, probabilmente tutte le questioni sono state tirate molto per le lunghe. Difficile scegliere il timing giusto, ma c’è stato un grande spreco di soldi per risistemare situazioni che erano davvero molto gravi.

Si può pensare che il prezzo pagato sia servito a mantenere la fiducia nel sistema bancario?

Sì, sicuramente. Il conto pagato è stato proprio questo. E’ capitato anche ad altri, comunque. Tipo gli Stati Uniti nel 2006-2007. La Gran Bretagna e la Germania, soprattutto. L’italia ha l’eterna condanna di essere molto visibile in quel che fa. Le vicende interne sono sempre molto pubbliche, e questo fa male.

Il sistema sta andando incontro ad una vera ristrutturazione?

Sì, e questa volta è sul serio. Il cost income (differenza tra costi e ricavi) del sistema è molto alto. Bisogna capire quanti dei secondi vengono assorbiti dai primi. I costi sono fatti essenzialmente di due componenti; componente fisica (filiali, tecnologia) e componente del personale (forza lavoro). Ci sono stati momenti in cui le banche presidiavano il territorio con gli sportelli, strapagandoli. Ciò voleva dire alzare i costi rispetto ai ricavi. L’Italia è ancora, purtroppo, il Paese con il maggior numero di sportelli.

Dopo la crisi, questi ultimi dovranno andare a ridursi, obbligatoriamente. Ed il momento è proprio quello giusto. La tecnologia, oggi, la fa da padrone, e bisogna adattarsi.

banca digitale
banca digitale

Non solo i ragazzi corrono verso la digitalizzazione, ma lo fanno anche gli altri…

Tutta la nostra vita è nello smartphone. Questo riguarda i nostri figli, cresciuti così, ma anche noi. E’ veloce, rapido, assicura uno standard molto elevato di qualità. La tecnologia è molto cresciuta; di fatto, abbiamo tutti un laptop nella tasca. Quindi si può accedere non solo ai servizi di base di una banca, ma anche a prodotti più complessi, tipo il credito al consumo, ed al risparmio gestito. Web significa, quindi, accedere ad una gamma infinita di servizi.

Questi ultimi costano molto in termini di implementazione. In un momento critico come questo, ha senso farlo? Anche pensando alla concorrenza dei titani del Web…

Questi ultimi hanno un vantaggio: sono digital per definizione. Le banche si stanno evolvendo verso questo mondo. I primi hanno la capacità di coinvolgere tutti, una capacità naturale. Offrire servizi finanziari e bancari oltre a quelli che già danno è un passo brevissimo. Le banche devo stare attente. I veri competitors sono questi. Basta pensare alla relazione che si sta avendo in Italia tra Banca Mediolanum ed Apple Pay. Più il mondo è centrato sul Web, più la banca deve essere simile ed integrarsi. E può farlo benissimo, vendendo da sempre servizi immateriali. Bisogna cancellare dal DNA della banca la filiale e la fisicità.

Sono cambiati anche i rapporti tra banche ed imprese…

Il settore del credito alle imprese sta vivendo una fase di grande mutamento. Sino ad oggi, il sistema italiano è sempre stato bancocentrico, ovvero il finanziamento alle imprese è sempre dipeso dal credito bancario. L’80% dei finanziamenti all’economia proviene infatti dalle banche.

L’entrata in vigore della direttiva Basilea III ha introdotto coefficienti patrimoniali più severi nei confronti degli istituti. Questo ha costretto questi ultimi ad una ulteriore stretta del credito.

In questo contesto, però, oggi si stanno strutturando canali innovativi. Sostituendosi a quello bancario, permettono di traghettare i risparmi degli italiani, ben 4168 miliardi di euro, verso le imprese del nostro Paese.

Il rapporto delle banche con il territorio cambia anche grazie a questi canali innovativi…

Sì, ed anche qui è necessaria una rivoluzione tipo la chiusura degli sportelli. Questo anche perché Basilea III impone il 12 – 13% di accantonamento per ogni euro prestato, quindi bisognerà avere le spalle coperte. Sempre di più la banca dovrà aiutare le imprese ad utilizzare il mercato finanziario. Questo perché c’è un’enormità di liquidità (sopra accennata) da investire. Le imprese dovranno finanziarsi anche confrontandosi con il mercato, e non solo per le quotazioni in Borsa. Ci sono anche strumenti, come le emissioni di obbligazioni e/o di certificati.

Tutto questo offre una grandissima flessibilità di rapporto tra istituti ed imprese; consente di ridurre il costo della raccolta per le imprese. Ovviamente, ci vogliono maggiore trasparenza, migliore governance, capacità di interagire col mercato.

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