Dopo un primo semestre caratterizzato da un aumento generale delle performance sia sui mercati obbligazionari che sui mercati azionari globali, preoccupano alcune tematiche di natura politica, in particolar modo le guerre tariffarie, e le implicazioni che possono avere sulla crescita economica. Il punto sui mercati è a cura di Alberto Zorzi, Vice Direttore Generale Direzione Investimenti.
Intro
Nel mese di giugno i mercati azionari globali sono saliti di quasi sei punti percentuali. Movimento al rialzo generalizzato che porta le performance da inizio anno al 20 per cento per Wall Street, e vicino al 17 per cento per i mercati europei. Anche sui mercati obbligazionari si è osservato un rally deciso. La discesa dei rendimenti sui mercati core fa salire l’indice globale di oltre un punto percentuale, e sostiene i titoli societari e quelli dei paesi emergenti.
Lo scenario del secondo semestre
Con la fine di giugno si chiude la prima metà dell’anno, ed è opportuno riprendere le considerazioni fatte all’inizio di quest’anno per capire se le cose procedono come dalle attese, o se invece è il caso di riconsiderare qualcosa. A gennaio abbiamo parlato di un 2019 impegnativo, ma da affrontare con relativa fiducia, considerando una crescita economica meno forte, ma sempre buona, e politiche monetarie ancora accomodanti nel corso dei primi sei mesi. L’evoluzione del quadro macroeconomico si è andata consolidando. I dati macroeconomici validano le attese di crescita in rallentamento, ma non ci portano a rivedere le previsioni in senso ulteriormente negativo. Tuttavia alcuni temi di natura politica non solo non si risolvono, ma addirittura si fanno più intricati. Preoccupa in particolar modo il tema delle guerre tariffarie, per le implicazioni che può avere sul commercio mondiale, e quindi sulla domanda per consumi e investimenti. In ultima istanza quindi preoccupa per gli effetti sulla crescita.
Le banche centrali sono consapevoli che in caso di un forte rallentamento o addirittura di una recessione gli strumenti tradizionali non sarebbero sufficienti, e probabilmente sarebbe necessario ricorrere alle politiche non convenzionali degli anni scorsi, cioè agli acquisti di titoli di stato. Per scongiurare questa evenienza sono quindi disposte ad aumentare il grado di accomodamento monetario, correndo i rischi di un eventuale fiammata inflazionistica, che in questo frangente viene considerato il male minore. L’attenzione dei banchieri centrali si è spostata molto sulla discesa delle aspettative di inflazione. Il tasso di crescita dei prezzi stenta a risalire, e perdura ormai da tempo al di sotto dell’obiettivo simmetrico del 2 per cento.
Powell, il governatore della banca centrale americana, ha espresso questo concetto con delle parole efficaci: meglio un’oncia di prevenzione che una libbra di cura, cioè meglio intervenire poco in anticipo che tanto in ritardo. La Fed, che alla fine dello scorso anno ragionava su un percorso di crescita graduale dei tassi di interesse, oggi invece è calibrata su una loro riduzione. In una delle sue ultime apparizioni, il presidente della BCE non ha escluso che la BCE possa tagliare ulteriormente i tassi di interesse, difendendo l’efficacia dei tassi negativi. Dovendo aggiustare lo scenario delineato a inizio anno, non possiamo che registrare tassi di interesse storicamente bassi ancora per lungo tempo, cosa che dovrebbe continuare a sostenere le attività rischiose.
Va anche detto e sottolineato che spread molto bassi e mercati azionari sui massimi storici o relativi limitano le possibilità di guadagno. Sono situazioni nelle quali guardare all’asset allocation può essere riduttivo, addirittura fuorviante. Bisogna ragionare sulla pianificazione finanziaria e quindi su previdenza e soluzioni di investimento con orizzonte temporale definito, oppure multi asset e flessibili.
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