Sintesi dell’intervento di Lea Zicchino al 15° percorso di inFormazione di Malmö. Qual è la situazione in ambito azionario ed obbligazionario stante la situazione geopolitica?
Allora, è ovvio che ci stiamo avvicinando alla fine di un ciclo, di una fase molto lunga di crescita economica per l’economia globale, in particolare per gli Stati Uniti. Infatti, proprio da qualche giorno la ripresa americana è la più lunga della sua storia. Quello che ci chiediamo, quindi, è se questa fine di ciclo ha qualcosa in comune con le altre frasi di fine ciclo, e che cosa questo voglia dire per i mercati finanziari.
Siamo quindi andati a guardare ai cicli economici, e ci siamo accorti che le cause delle recessioni sono fondamentalmente tre: shock di offerta legati all’aumento del prezzo del petrolio, restrizione monetaria dopo una fase di surriscaldamento dell’economia, e infine crisi finanziaria dovuta a bolle sul mercato del credito o dei mercati azionari. Riteniamo, sulla base di fatti e dati, che nessuna di queste cause possa provocare una nuova recessione degli Stati Uniti in questa fase storica. Ci aspettiamo quindi un rallentamento, un cosiddetto soft landing dell’economia, piuttosto che una vera e propria recessione.
Cosa implica questo per mercati finanziari, per l’investimento azionario? Non si potranno certo ripetere i rendimenti positivi, molto positivi, che si sono avuti nel 2017 e nella prima parte del 2018, ma probabilmente neanche una caduta come nelle fasi di recessione, come ad esempio quella che si è avuta alla fine del 2018. Quindi, rendimenti sì positivi, ma modesti. Per, invece, i titoli obbligazionari di buona qualità, risk free e quasi risk free, i rendimenti continueranno ad essere piuttosto compressi.
In sintesi, rendimenti quindi risicati sulle attività di investimento tradizionalmente nei portafogli degli investitori istituzionali, ed è quindi forse un buon momento, per gli investitori istituzionali italiani, di aumentare la loro esposizione ad investimenti alternativi, come ad esempio private equity, private debt ed infrastructure. Se, infatti, andiamo a guardare all’esposizione degli investitori istituzionali italiani in questo tipo di investimenti, questa è molto modesta, circa l’un per cento degli attivi, contro invece un 10 per cento del Regno Unito e dei paesi del nord europa e un 4 per cento dell’aggregato degli altri grandi paesi europei.
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