Inflazione. Questa è la parola chiave che sta girando in questi giorni sui mercati. Da qui parte la riflessione di Andrea Delitala, Head of Investment Advisory di Pictet AM Italia, che analizza i mercati del mese di febbraio 2018.
La possibilità del ritorno dell’inflazione è divenuta realtà. Gli ultimi dati sul mercato del lavoro americano hanno visto ricomparire un po’ di inflazione salariale. Contestualmente, molte aziende americane hanno annunciato iniziative per sostenere o il salario minimo, o bonus eccezionali, o investimenti a favore del lavoro dipendente. Ciò è naturalmente dovuto alla riforma fiscale recentemente approvata. La Corporate America ha quindi aggiustato il tiro, utilizzando i bonus derivanti dalla politica fiscale dell’amministrazione centrale.
E’ chiaramente una buona notizia per il ciclo economico; si prospetta un continuum del medesimo grazie ad una rinnovata capacità di spesa del contribuente. E’ di ogni evidenza che tutto questo non possa che portare inflazione, appunto.
Situazione analoga, anche se parziale e più localizzata. Il principale sindacato metalmeccanico tedesco ha appena raggiunto un accordo importante per un incremento salariale intorno al 4%, cifra certamente importante. E, di solito, questo sindacato fa da guida a tutti gli altri.
Questo fatto è interessante anche per gli altri Paesi dell’area Euro. Infatti, invece di dover essere noi a perdere competitività, la rivalutazione interna della Germania riequilibra un po’ gli squilibri all’interno dell’Europa. Quindi, sviluppi positivi, globalmente, dal punto di vista macroeconomico.
Il ritorno dell’inflazione non può lasciare le banche centrali indifferenti. Per adesso la FED ha solo reagito con piccoli cambi di sfumature nel linguaggio. Pensano proprio che l’inflazione torni verso il 2% già quest’anno. Il mercato ha già incassato il colpo di quest’annuncio sul reddito fisso.
Draghi è rimasto abbastanza tranquillo, nella riunione di gennaio della BCE, nonostante la forza dell’euro; l’Europa rimarrà in ritardo, rispetto agli USA, se l’euro continua a rimanere forte. L’economia, in sostanza, va bene, e qualche barlume di inflazione salariale in aumento si vede anche qui.
Non sempre le buone notizie macro si riflettono, però, positivamente sui mercati. La repressione finanziaria di questi anni aveva permesso pesanti interventi delle banche centrali, e questo anche grazie all’assenza di inflazione. Se questo alibi viene meno, la liquidità si ridurrà pesantemente, ed i bond ne soffriranno; prima i governativi, poi i corporate. A questo segue il fatto che le banche centrali, ad un certo punto, dovranno alzare, o continuare ad alzare i tassi. Ed i tassi in salita frenano i mercati, perché il denaro costa di più. Quindi, anche le azioni rischiano di soffrire dei contraccolpi, ovviamente. Negli ultimi giorni abbiamo visto proprio questo sviluppo di scenario, in maniera devastante.
Ma se si screma il mercato dai suoi eccessi (volatilità troppo ballerina), rimane un anno ove fare molta attenzione all’obbligazionario; rimane dello spazio per l’equity. La correzione dell’8% della borsa americana è un’occasione di acquisto, e qualcuno l’ha già fatto.
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