Quali i maggiori eventi macroeconomici nel 2018? Quale outlook per l’anno nuovo? Ne parla Angela Antetomaso con Stefano Gianti di Swissquote dagli studi di Londra di CNBC Europe.
Anno molto positivo per le Borse nel 2017, di circa il 20% i guadagni. Alcune eccellenze, come le small cap italiane, che hanno doppiato il NASDAQ, facendo un 40%. Problemi geopolitici l’incognita maggiore, ma mai decollati veramente, vista la piattezza del VIX.
La poca volatilità è stata dovuta a due fattori. In primis, la forward guidance di FED, BCE e BoJ. In secundis, la riforma fiscale americana, a cui i mercati hanno sempre creduto. Queste attese hanno contribuito a mantenere bassa a volatilità.
Anche la Cina ha contribuito a tranquillizzare i mercati. La sua crescita continuerà vicina al 7% anche nel 2018, e superiori al 6,5%. È cresciuta, e continuerà a farlo, anche il resto dell’Asia, particolarmente il Giappone. Qui, la BoJ rimarrà accomodante ancora a lungo, soprattutto a causa dell’inflazione, che non sale dal 1990.
Dollaro protagonista nel 2017 a causa della riforma fiscale, e per la normalizzazione dei tassi d’interesse. Anche il decennale rende bene, tornando verso il 2,40%, cioè a livelli più normali. Trump ha avuto successo, nonostante tutto, anche se siamo lontani da un operato perfetto.
L’importante è stata la riforma fiscale USA. Bisogna però monitorarne gli effetti, e vedere bene come è costituita. Il taglio dell’aliquota fiscale va dal 35 al 21%. Il cero scopo, comunque, è far rimpatriare il denaro che le aziende USA hanno nei conti all’estero. E qui la tassazione sarà bassa, max 10.5%. Rimpatriare la liquidità potrebbe essere un buon stimolo monetario.
Comunque attenzione, perché il bilancio federale e quello proprio della FED rimangono molto gonfi.
È lecito aspettarsene tre. La forward guidance addirittura portava ad aspettarne quattro. L’ultimo meeting (i famosi dot plot) ha però chiarito che saranno al max tre. La vera sfida del 2018 sarà capire se il corporate statunitense potrà salire ancora. Il livello di quotazioni attuali dello S&P500 sconta una crescita degli utili aziendali dell’8% nel 2018.
Il problema è quello appena citato. Se gli utili cresceranno lo farà la Borsa. Viceversa, scenderà. Cautela perché le economie mondiali si fondano sempre e comunque sul debito, quindi gli scossoni improvvisi ci possono sempre e comunque essere. Attenzione a parlare sempre di bolla, comunque. Se ne parla dal 2009, ed ancora non è avvenuta…
Siamo intorno al 2,45%. La normalizzazione è in corso, i tassi continueranno a salire. Nel 2018 si può arrivare sicuramente vicini al 3%. Probabile livello corretto 2,85%-2,95%. È un bene, questa salita, perché si torna allo standard.
Il problema da evidenziare è più che altro quello italiano. In Italia i rendimenti sono saliti poco. Rimane un disallineamento con le migliori economie di 150-160 punti base. E non scordiamoci che ci sono le elezioni molto vicine.
È un grosso problema. Se in Italia succederà come in Germania (vittoria Merkel, ma niente governo ancora), l’incertezza regnerà sovrana. Ed i mercati, come ben si sa, vogliono la stabilità. Attenzione, quindi. Il rischio-Italia esiste ancora, e lo dice anche la salita dei rendimenti.
Lo spread non risalirà ai livelli del novembre 2011, che furono incredibili. Oggi c’è una stabilità che si chiama Mario Draghi. Il decennale, comunque, dovrebbe risalire almeno al 2.20%-2,30%. E fa parte di un percorso di normalizzazione dei tassi. Molte aree ancora, comunque, hanno tassi negativi (Svezia, Svizzera, Giappone). E, quel che è ancora più importante, non hanno assolutamente intenzione di ritoccarli al rialzo.
L’incertezza c’è, e si vede anche a livello politico. La chiave è il passaporto finanziario europeo, che Londra vuole ancora avere, e che l?Europa è poco propensa a lasciargli. Potrebbe esserci persino un nuovo referendum, per vedere se gli inglesi la pensano ancora positivamente su Brexit.
L’incertezza, comunque, ci sarà perché Londra è un hub finanziario davvero importante. È chiaro che Francoforte, Parigi, e magari anche Milano vorrebbero una fetta della finanza britannica, ma attenzione. Londra è davvero importante a livello globale. E meno materiale finanziario rimane a Londra, peggio è per l’Europa intera.
Post referendum, è stato inevitabile il deprezzamento della sterlina che, di conseguenza, ha portato inflazione. È anche un esperimento interessante, visto che nel resto del mondo l’inflazione stenta a manifestarsi. La svalutazione monetaria è sempre un tema caldo; è dimostrato che chi svaluta migliora l’export e crea inflazione. Nel medio periodo questo aiuta la ripresa del PIL.
I conservatori vorrebbero addirittura far diventare Londra una specie di città-stato, sul modello di Singapore. Si parla di tasse ridotte al 17% per le imprese. Attenzione anche la fatto che la BCE segue sempre, anche se in ritardo, quel che fa la FED. E non scordiamoci che prima del referendum la GB cresceva più del resto d’Europa perché non aveva la rigidità monetaria che c’è qui.
Si è già deprezzata molto contro l’euro. Il rendimento del Gilt è sempre stabile intorno ad area 1,20. L’economia rimane solida, in ogni caso. Fondamentali i negoziati con l’UE, per capire se sarà hard o soft Brexit. In ogni caso, la GB sta già cercando di stringere nuovi rapporti commerciali con Cina, India e Pakistan; una sorta di piano B post-Brexit.
Euro molto stabile perché l’Europa è stata stabile nel 2017. La stabilità economica, in netta ripresa, non può che riflettersi in un guadagno della moneta. Bisogna capire se e come ci sarà più armonizzazione in Europa.
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