Cambio al timone della Fed, default del Venezuela e nuove prospettive su petrolio e inflazione: il punto sui più recenti avvenimenti economico-finanziari dei mercati con Roberto Rossignoli, Portfolio Manager Moneyfarm.
Il nuovo governatore della FED potrebbe essere considerato un outsider. Infatti, la maggior parte della sua carriera si è svolta nel private equity, con un profilo più legale che economico. Tuttavia si è dimostrato molto competente sia nella comprensione dei cicli economici e monetari sia nel comunicare le strategie dell’istituto centrale.
Rispaetto al passato, ha dato segnali di continuità per quanto riguarda le decisioni sui tassi d’interesse. Si è detto infatti pronto a continuare quanto fatto dalla Yellen; per il 2018 ci si aspettano tassi in crescita sulla parte breve della curva.
La leggera discontinuità è invece sulla regolamentazione bancaria. Si è detto pronto a parlare con tutti i maggiori istituti di credito USA sul capire come alleggerire la pressione regolamentale; di conseguenza, come favorire lo sviluppo dell’attività bancaria in America. I mercati hanno apprezzato questa apertura. Se a questo uniamo la riforma fiscale, che sta procedendo al Congresso, si capisce come abbia fatto lo S&P500 a chiudere per 13 mesi di fila in positivo.
A novembre il governo venezuelano ed alcune aziende statali non hanno pagato delle obbligazioni che avevano fatto sottoscrivere. Si è quindi aperta una fase di default tecnico, e di conseguenti discussioni con gli investitori. Tra questi, difficile non notare Russia, Cina e molti fondi occidentali. L’esito è ancora incerto e lontano, e non si capisce bene dove si andrà a parare.
L’esposizione al Venezuela è, fortunatamente, inesistente. Nelle allocazioni c’è sempre presenza di mercati emergenti, sia come azioni che come bond, ma quando si investe, bisogna farlo con giudizio. Evidentemente, in questo periodo, il paese sudamericano non offre niente che convinca ad esporvisi.
Questo principio, applicato globalmente, può consentire di superare indenni molte crisi nei mercati emergenti, come la crisi politica in Brasile, o le tensioni dovute alla Nord Corea.
Per il 2018, il rischio resta sempre la Cina, dove è in corso la ristrutturazione del settore industriale e di quello finanziario; l’esito di entrambi non è ancora chiaro.
Molte notizie negli ultimi mesi dall’Arabia Saudita. Successione al trono; cambio generazionale di leadership; rinnovate tensioni con Yemen ed Iran; lotta alla corruzione. Questi fatti potrebbero essere potenzialmente destabilizzanti per il petrolio. Il recente accordo OPEC con la Russia, però, tranquillizza, confermando il recente trend degli ultimi mesi, con stabilizzazione del petrolio.
Da un lato, abbiamo l’offerta sotto controllo; dall’altro abbiamo la domanda molto stabile. Per il medio termine è una situazion molto stabile e tranquillizzante.
Il petrolio non è però l’unica commodity ad aver fatto bene nel 2017. I metalli industriali hanno fatto molto bene. Questo dice due cose.
I temi sul tavolo per il 2018 sono quindi molti. Un consulente dedicato è perciò fondamentale per affrontarli bene.
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