Mercati emergenti, rally del petrolio e l’Italia che torna al centro dell’attenzione internazionale: il punto sui più recenti avvenimenti economico-finanziari con Roberto Rossignoli, portfolio manager Moneyfarm.
Il grafico mostra la relazione tra l’andamento del Dollaro e la performance relativa dell’azionario globale rispetto a quello dei Paesi emergenti. Quando la linea nera è diretta verso il basso vuol dire che l’azionario degli emergenti sta sovraperfomando l’azionario globale. Come si può notare, esiste una forte correlazione con l’andamento del dollaro (linea rosa). Tutti e due i segmenti azionari hanno comunque un risultato positivo negli ultimi dodici mesi, come si nota nel secondo grafico. L’andamento incerto del 2018, causato proprio dalla rincorsa del dollaro, vede comunque gli emergenti perdere spinta (linea fucsia).
Negli ultimi 5 anni l’andamento del valore delle materie prime non è stato particolarmente positivo. Unica eccezione sono stati i metalli industriali.
La prima metà dell’anno è stato caratterizzata da una grande volatilità nel campo delle materie prime. Il movimento è stato guidato dal petrolio, che ha guadagnato più del 10% da inizio anno. Dopo due anni di prezzi contenuti, la domanda che tutti gli investitori si pongono è se siamo all’inizio di una nuova fase del ciclo.
Il rally del petrolio è conseguenza di vari fattori: la crescita economica e l’outlook sono migliorati dal momento di stanca del febbraio 2016. Bisogna ricordare che più di ogni altra materia prima il petrolio è correlato al ciclo economico. Questo è vero anche per i metalli industriali, che hanno attirato molta meno attenzione dei media ma sono cresciuti di circa il 40% nel 2017.
Un altro fattore macro che è strettamente legato con la valutazione del petrolio è quello dell’inflazione. Negli ultimi 6 mesi l’inflazione si è finalmente risvegliata, anche a causa del prezzo stesso del petrolio in crescita (la relazione tra i due parametri è biunivoca). Le materie prime sono di solito considerate come una protezione nei confronti dell’inflazione e questo determina l’aumento dei flussi su questa asset class.
Oltre ai fattori macro, l’acuirsi di alcune tensione geopolitiche nelle aree di produzione ha avuto un peso. Parliamo soprattutto dei problemi dal lato dell’offerta che sono già determinati dalle crisi in Medio Oriente e in Venezuela.
Infine, siamo in presenza di sforzi coordinati da parte di alcuni grandi produttori per diminuire l’offerta. In molti si chiedono se il prezzo del petrolio continuerà a salire tornando al livello di equilibrio in cui si trovava prima del calo del 2014. La risposta, a nostro avviso è negativa. Le spinte macro ci sembrano aver raggiunto il picco. Quindi, a meno di non assistere a un intensificarsi delle crisi geopolitiche, non vediamo il petrolio tornare sopra quota 100 dollari al barile.
Quando si prova a prevedere il prezzo delle materie prima, capire il momento del ciclo finanziario è forse l’elemento fondamentale. In generale le materie prime sono un asset class piuttosto volatile: questo vuol dire che il loro valore si muove abbastanza velocemente, più velocemente rispetto a quello di altre asset class. Se questo può essere vantaggioso in momenti di crescita della domanda, ma rischioso per l’investitore quando il ciclo arriva in una fase matura.
Quasi tutte gli strumenti finanziari possono essere valutati stimando il valore dei flussi di cassa che ci aspettiamo di ricevere da esse in futuro: questi possono avere una componente cedolare (come i coupon per le obbligazioni e i dividendi per le azioni) e unacomponente di stima a cui si ritiene di poter vedere il titolo in futuro. Quello che rende le materie prime diverse dalla maggior parte delle altre asset class è l’assenza di un flusso di capitale. Per l’investitore, questo ha due importanti conseguenze: primo, le commodities hanno storicamente avuto un basso livello di correlazione con le altre asset class nel medio termine e questo le rende un valido strumento di diversificazione all’interno del portafoglio. Secondo, per determinare il valore oggi bisogna concentrarsi sulla previsione della domanda e dell’offerta e del contesto macroeconomico.
Le dinamiche di produzione sono a propria volta mosse dall’andamento di fondo dell’economia globale o allo sviluppo tecnologico, che può aprire la strada a nuovi usi di una determinata materia prima. Quando la domanda cresce, con esse cresce di conseguenza il prezzo e questo incentiva sempre più produttori a rientrare o aumentare la produzione. Ovviamente si tratta di uno schema semplificato: la dinamica della domanda e dell’offerta può essere influenzata da una serie di fattori endogeni (come accordi intervenuti tra i produttori, come è frequente nel caso del petrolio) o esogeni (come per esempio una crisi internazionale intercorsa in uno dei Paesi produttori che causa ostacoli alla catena di approvvigionamento).
Se si guarda alla situazione attuale, negli ultimi cinque anni l’andamento del prezzo delle materie prime è stato piuttosto deludente. Considerando tutte le principali famiglie, si nota come solo i metalli industriali hanno fatto registrare un risultato positivo. Le altre famiglie (energetici, beni agricoli) restano invece in territorio negativo. Anche riducendo l’orizzonte dell’analisi ai passati tre anni notiamo come lo scenario non cambi di molto. Considerato che la propulsione che ha spinto in alto metalli industriali e petrolio negli ultimi mesi sembri in esaurimento, ci sembra presto per annunciare l’inizio di un nuovo super-ciclo delle commodities.
A ogni modo, le previsioni per questa asset class sono positive per il prossimo anno.
La geografia dell’indebitamento degli stati del mondo in relazione al PIL. Sul podio troviamo il Giappone, la Grecia e appunto l’Italia. In questo momento è giusto focalizzarsi sugli scenari di medio termine. In questa prospettiva è evidente che il principale problema che il Paese si trova ad affrontare non nasce oggi e non è destinato a essere risolto nell’immediato futuro, qualsiasi sia la guida politica del Paese.
Ci si riferisce all’enorme mole del debito pubblico (131,8% rispetto al Pil) che si è sviluppato nel corso dei decenni. Il dibattito economico sull’argomento presenta molte autorevoli ipotesi sulle possibili strade che il Paese dovrebbe intraprendere per risolvere la questione nel lungo termine. Ciò che è certo è che nell’immediato il debito è un problema estremamente concreto. Ogni anno gli italiani pagano una quantità di tasse superiore a quanto lo Stato spende in scuole, pensioni e ospedali, per finanziare il servizio degli interessi ai creditori (che sono per la stragrande maggioranza istituzioni e famiglie italiane).
Purtroppo, più il debito è elevato, più il costo degli interessi diventa suscettibile di crescere in momenti di crisi e incertezza (il famoso spread). Questo rischia di creare una spirale pericolosa nella quale gli interessi crescono e con essi il costo del debito per il bilancio pubblico, diminuendo così la fiducia nel fatto che il Paese sia in grado di onorare i pagamenti.
Le conseguenze economiche, politiche e sociali di questa situazione sono state evidenti negli ultimi anni e si sono abbattute in maniera sproporzionata su alcune fasce della popolazione che hanno pagato più di altre le conseguenze delle politiche che sono state adottate per ovviare alla crisi finanziaria esplosa nel 2011. Essa è giunta in seguito a un aumento del debito in rapporto al PIL dal 103% al 123% negli anni successivi alla crisi finanziaria internazionale scoppiata nel 2008. Da un punto di vista finanziario, l’Italia si trova ancora oggi a scontare le conseguenze di una dinamica iniziata 10 anni fa.
Nonostante ciò, l’Italia è oggi un Paese che registra segnali di crescita e salute economica in molti settori. Tuttavia non bisogna arrivare a essere sull’orlo della bancarotta per comprendere la necessità di calibrare le scelte fiscali alla situazione dei conti pubblici. Questo è specialmente vero in un contesto nel quale stanno per concludersi gli acquisti di titoli italiani tramite l’emissione di nuova moneta da parte della Banca Centrale Europea, misura che ha contribuito ad alleviare la pressione in questi anni.
Sull’efficacia delle politiche che sono state intraprese a livello nazionale per reagire alla crisi, così come sui benefici dell’Italia nella partecipazione all’UE, è aperto un ampio dibattito nel quale non si intende entrare in questa sede.
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