PIR immobiliari. Quali sono i loro limiti? | Monitor Risparmio

L’evoluzione dei PIR, il ruolo della tecnologia nel settore della distribuzione finanziaria, la spinta al cambiamento che arriva dalla Direttiva Mifid 2. Monitor Immobiliare ne ha parlato con Riccardo Lamanna, country head Italy di State Street Global Services.

Gli ultimi dati relativi alla raccolta dei Pir indicano che lo strumento continua a raccogliere flussi importanti provenienti dai risparmi degli italiani, anche se nel primo trimestre dell’anno la corsa ha rallentato rispetto al ritmo registrato nel corso del 2017. Tuttavia i titoli dell’immobiliare non sembrano risentire positivamente, nonostante l’estensione a questa categoria introdotta con la Legge di Bilancio 2018. Quali sono a suo avviso le ragioni?

I PIR sono indubbiamente uno strumento di successo nel mercato italiano, al pari di quanto è accaduto negli altri Paesi europei che si erano mossi prima in questa direzione. L’estensione agli strumenti immobiliari effettivamente non sembra aver attratto grande interesse da parte del mercato. Lo strumento immobiliare, da solo, farà fatica a decollare. Se invece venisse utilizzato all’interno degli strumenti esistenti per diversificare, potrebbe avere successo.

Sappiamo che gli strumenti d’investimento più utilizzati per sfruttare i benefici dei Pir sono i fondi comuni. Ci sono anche altre asset class, magari tra gli alternativi?

Altri strumenti no, ma ci si aspetta che gli asset alternativi possano entrare nei portafogli PIR per una piccola quota per favorire la diversificazione e la stabilità del rendimento. Questo vale per tutti, non solo per i detentori di grandi portafogli.

Nell’ambito dei servizi finanziari si assiste alla disruption tecnologica. Il digitale è sempre più protagonista sia nella distribuzione, che nei rapporti con la clientela. Cosa possiamo attenderci negli anni a venire?

Indubbiamente il digitale sta provocando grandi cambiamenti nel settore del risparmio gestito. Da una parte abbiamo il filone del fintech, che riguarda il colloquio tra l’investitore e il promotore o la società di asset managament. Un impatto meno visibile, ma di maggiore portata, lo ha però la tecnologia per la finanza.

Si può fare un esempio?

Ad esempio, la blockchain all’interno del mercato relativo alla produzione dei servizi finanziari. Vediamo quanto avviene nel mondo dei pagamenti, ma sempre più varrà anche nel settore della distribuzione. La sfida è passare da sistemi legacy, legati alle contingenze del momento, per poter gestire informazioni, dati e processi in maniera sinergica con quanto avviene nel mondo della distribuzione.

Il passaggio al digitale richiede investimenti. Significa che dobbiamo attenderci una nuova stagione di aggregazioni tra gli operatori del risparmio gestito?

Da quello che si vede, la concentrazione è in atto e continuerà ancora per diverso tempo. Questo sia per fattori regolamentari, che di matrice tecnologica. La Direttiva Mifid 2 pone gli operatori di fronte alla scelta se diventare grandi operatori in grado di realizzare prodotti adattabili alle esigenze della rete, dando alla stessa una serie di informazioni, oppure mantenere dimensioni ridotte e puntare su soluzioni di nicchia, che rispondono a esigenze particolari. Quindi si va verso un consolidamento del mercato. Chi ha una dimensione media deve decidere cosa fare. L’evoluzione tecnologica effettivamente richiede investimenti, ma in varie direzioni. Si può puntare su portafogli complicati per una clientela esigente o su prodotti semplici per tutti. A ciascuna realtà spetta il compito di scegliere il proprio posizionamento per restare competitiva sul mercato.

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