Dalla stretta creditizia al QE: la storia insegna che le crisi finanziarie sono cicliche e gestibili. È necessario superare il gap tra finanza ed economia reale, fare educazione finanziaria e andare oltre il “fai da te” per guardare al futuro con ottimismo. Ospite in studio Pietro Cafaro, Professore Ordinario Storia Economica Università Cattolica Sacro Cuore.
Sembrano ieri, ed anche un secolo o un millennio fa. Molti cambiamenti sono avvenuti. Si è avuto, allora, la prova di cosa significasse un sistema bancario deregolato, come era accaduto in America alla fine del ‘900.
Anche in Europa ci si è mossi, con iniziative per risolvere i problemi generati da quella drammatica crisi.
Banche e finanza. Come orientarsi in un mondo che da anni sta cambiando i suoi paradigmi? È come avere un navigatore il cui puntatore vaga su strade non identificate.
L’ultimo punto rilevato con precisione quasi 10 anni fa è la sede di Lehman Brothers, e i suoi dipendenti con i cartoni in mano. Lo spartiacque tra il tempo della garanzia e quello dell’incertezza; la più grave bancarotta del capitalismo moderno. Il pericolo di un effetto domino rende necessaria una manovra di sostegno senza precedenti. Interventi che gonfiano a dismisura deficit e debiti pubblici.
Il primo crollo importante è la Grecia, salvata nel 2010 da un piano da 110 miliardi. L’anno seguente è tutta l’eurozona a fibrillare. Arriva il turno di Irlanda e Portogallo, finiti commissariati. E quindi la Spagna. L’Italia è messa alle stretta dall’Europa su conti pubblici, riforma delle pensioni e contratti di lavoro. E le misure restrittive prese da Mario Monti non fanno altro che aggravare le condizioni di un sistema economico già in ginocchio.
Le imprese non riescono a restituire i prestiti alle banche che, in un sistema prettamente bancocentrico, vedono esplodere sofferenze e crediti deteriorati. Nel tentativo di salvaguardare la stabilità finanziaria dell’area euro, nasce l’Unione Bancaria Europea che dal 2014 conferisce alla BCE compiti di vigilanza.
Tra e tante misure introdotte, nel 2016 arriva anche in Italia il famigerato bail-in. Coinvolge i clienti nell’eventuale salvataggio degli istituti in difficoltà e mina ulteriormente la fiducia dei risparmiatori nell’intero sistema. Il caso MPS e quello delle 4 banche salvate nell’anno danno il colpo di grazia.
Ancora, rendimenti a zero, iniezioni di liquidità della BCE, nuove banche a rischio. Ed ora, la stringente normativa di MIFID2. Basterà un aggiornamento del navigatore per ritrovare i punti di riferimento e ristabilire la rotta?
È stato un decennio veramente drammatico. Molte aspettative sono state deluse e oggi siamo in mezzo al guado. L’unione bancaria, infatti, è incompleta. La vigilanza, primo pilastro, sembra sia andato in porto. Le regole comuni, secondo pilastro, sembrano andate in porto. Le assicurazioni e le garanzie sulla tutela dei depositi, invece, sono in alto mare.
Questo è un problema perché, nella storia, i tre pilastri (vigilanza, risoluzione dei problemi attraverso norme specifiche e garanzia di depositi) sono sempre andate insieme. Questo sin dalla prima regolamentazione bancaria del 1933 in America.
Niente politiche fiscali e del lavoro comuni. E’ come costruire una casa dal tetto.
Si è fatto il passo più lungo della gamba, convinti che dopo moneta ed economia comune sarebbe venuto, di logica conseguenza, tutto il resto.
L’unico esempio di economia prima della politica è l’unificazione tedesca. Ma dietro c’era tutto quanto fosse possibile per sostenere la Germania e renderla di nuovo una grande potenza. Oggi una situazione simile è fuori tempo.
Chiunque investa deve diversificare il rischio, obbligatoriamente. Vale sempre e non lo applica quasi nessuno, purtroppo. Per questo sono nate le banche. Se tutti avessero saputo cosa fare del loro denaro, infatti, le banche non avrebbero avuto motivo di essere. Purtroppo è un’utopia.
La banca è lo specialista dell’investimento che, con i soldi dei risparmiatori, fa le operazioni migliori nel suo interesse, ma anche in quello del cliente. Se ciò non accade, crolla tutto.
È comunque illusorio pensare che il risparmiatore possa educarsi da solo, che possa scegliere dove investire bene i propri soldi. In Italia, soprattutto, questa tradizione è inesistente.
Veniamo dalla diseducazione del BOT, ma anche da una frammentazione dei mercati finanziari lunga quanto la nostra storia, da un sistema che nasce già con grossi (troppi) debiti a partire dall’unità nazionale nel 1861. Il sistema è stato subito alla prese con la riorganizzazione del debito, ma lo ha fatto male, emettendo altro debito.
Anche il corso forzoso della moneta ha contribuito. Troppe volte si è svalutato per creare inflazione ed introitare risorse.
La Storia insegna che molte cose sono già avvenute, anche se poi non si verificano nello stesso modo. Siamo passati dalle crisi di fine ‘800 a quelle degli anni ’30 del ‘900, a quelle della Seconda Guerra Mondiale.
Alla fine degli anni 2’, soprattutto, investire in Borsa è diventato un fenomeno di massa, in America. La produttività industriale è ai massimi, e l’inflazione corre insieme a lei. Tra il 1927 ed il 1029 il valore delle azioni raddoppia. La società americana si spacca in due. Chi investe certo di guadagnare, e chi soffre la quotidianità.
Giovedì 24 ottobre 1929 Wall Street crolla improvvisamente. Gli investitori vengono presi dal panico. Milioni di azioni subiscono un ribasso inarrestabile, trascinando in rovina l’intero Paese. La crisi si espande anche in tutta Europa, ancora alle prese con la ricostruzione dopo la Prima Guerra Mondiale. Le popolazioni devono affrontare la più grande crisi di sempre. Si va incontro a povertà, fame e disoccupazione.
L’analogia, comunque, va fatta con quello che è accaduto prima del 2008. L’euforia degli anni ’20 assomiglia a quella post 1999. Quella che non aveva mai conosciuto hi-tech, internet ed i nuovi titoli.
Dopo queste sbornie, c’è il redde rationem. E quello fu terribile e spietato. E la reazione di allora, col presidente Hoover, fu la stessa di adesso. Cioè una stretta creditizia per non investire il denaro preso in prestito. Ci si rese poi conto che la stretta non funzionava e si allargarono i cordoni della borsa.
Oggi, però, siamo in un sistema pienamente globalizzato. Gli investimenti sono veloci ed in tempo reale. L’economia, invece, viaggia con il suo passo. C’è quindi una sfasatura, inevitabile, tra investimenti ed effetti sull’economia.
Maggiore consapevolezza dei risparmiatori sui rischi. Maggiora consapevolezza dell’avere un sistema bancario solido e diversificato. Il risparmiatore, anche se non acculturato finanziariamente ed economicamente, deve poter scegliere tra una banca e l’altra a prima vista. L’investitore è come un cieco, che si affida a chi ne sa più di lui.
Il cieco, deve avere, dall’altra parte, la possibilità di affidarsi a chi lavora bene. Il confronto deve quindi essere immediato e semplice.
Il sistema deve avere ancora “biodiversità” e non omologazione. Chi governa e vigila, in contrasto, trova nella semplificazione la sicurezza del controllo.
La pietra filosofale dell’investimento non esiste.
Bisogna avere molto ottimismo. Avere la consapevolezza che ogni errore sia rimediabile. Cominciamo l’anno con l’ottimismo che sia così.
