Paolo Mieli, noto giornalista e storico, affronta il problema della previdenza complementare in questa nuova puntata della sua serie su Economia e Finanza. Il programma va in onda su Orizzonti TV.
Fino alla rivoluzione industriale, le forme di previdenza era affidate alla beneficenza. La diffusione di quest’ultima era affidata eminentemente al clero. Solo con la suddetta rivoluzione industriale iniziarono le prime forme di assistenza, soprattutto ai poveri. Erano però forme molto rudimentali. Si dovette attendere l’800, ed una personalità come il Cancelliere Bismarck, fondatore della Germania unita, per avere, nel 1883, una forma di previdenza ed assistenza vera.
Altro passo avanti fu, nel 1942, il piano Beveridge in Gran Bretagna, quello che portava l’assistenza “dalla culla alla tomba”. Nei Paesi scandinavi si fece qualcosa di ancora più articolato.
A partire dagli anni ’90, l’invecchiamento della popolazione, gli squilibri delle finanze pubbliche e le condizioni dell’offerta di lavoro, hanno richiesto al nostro Paese profondi interventi di riforma del sistema pensionistico pubblico. E la costruzione, in parallelo, di una previdenza complementare.
Diversi snodi sono stati importanti.
Oggi, il nostro sistema è tra i più solidi d’Europa. Alla fine del 2015, i lavoratori italiani iscritti alla previdenza complementare sono raddoppiati. Le percentuali di adesione più basse della media si riscontrano tra coloro che avrebbero maggiormente bisogno di una seconda pensione. Questi sono donne, giovani, autonomi e lavoratori delle piccole imprese. Ciò è dovuto alla precarietà lavorativa, ed alla bassa dinamica dei salari, ma non solo. Anche all’insufficiente conoscenza delle tematiche finanziarie e previdenziali. Il ruolo dell’educazione finanziaria, ed iniziative ad hoc, come la busta arancione dell’INPS, sono particolarmente importanti.
Moltissimi vantaggi. Per i lavoratori dipendenti c’è una convenienza molto certa ed ovvia: la contribuzione del datore di lavoro. Quello che si percepirà in vecchiaia non è formato solo dai versamenti del lavoratore, ma anche da quelli del datore di lavoro. Rinunciare ad aderire ad un fondo pensione significa rinunciare a risorse che il datore di lavoro era disposto a mettere in campo.
Per tutte le altre categorie di lavoratori ci sono benefici finanziari, fiscali e di sicurezza. Chi è particolarmente avverso al rischio, con un fondo di previdenza complementare potrà trovare un prodotto adatto. Infatti, può conoscere in anticipo la rpestazione che riceverà al netto dei costi di gestione.
Il primo è quello di favorire la conoscenza di questi strumenti. E favorire la comprensione dei benefici che ne possono derivare. C’è uno sforzo notevole fatto in questa direzione dalla COVIP. Sul loro sito si trovano moltissime informazioni utili, a partire da una guida sulla previdenza complementare.
Ovviamente, si può fare molto anche a livello individuale. Gli anziani, che da fascia debole sono ora quella forte, possono aiutare i giovani ad affrontare questo argomento.
Alla precarietà del lavoro innanzitutto. Una previdenza complementare prevede versamenti autonomi, che devono esserci sempre. Se il lavoro è precario, si scontra concettualmente con quanto detto finora.
E’ una cosa utile. Il fondo pensione ha in parte la caratteristiche del TFR. Non è mai troppo presto, né troppo tardi, per aderire ad un fondo pensione complementare.
You can see how this popup was set up in our step-by-step guide: https://wppopupmaker.com/guides/auto-opening-announcement-popups/
You can see how this popup was set up in our step-by-step guide: https://wppopupmaker.com/guides/auto-opening-announcement-popups/