Il connubio finanza e design made in Italy è una delle leve principali per la crescita del comparto. È la conclusione emersa durante la recente conferenza “Alla ricerca della dimensione per competere nel mercato globale” organizzata da Pambianco ed Elle Decor a Milano. L’interesse della finanza per il settore e i suoi sviluppi è stato confermato dall’intervento di Raffaele Jerusalmi, Amministratore Delegato di Borsa Italiana, che ha sottolineato la forte rappresentanza di aziende di arredo quotate in piazza Affari. “Abbiamo 44 aziende sul mercato principale e 10 sull’AIM”. La borsa sta attraversando una fase positiva grazie anche al sistema incentivante dei PIR. Ma c’è un’alternativa: Elite, la piattaforma per società non quotate, che oggi conta 600 aziende da tutto il mondo. “Un programma molto accessibile”, spiega Jerusalmi, “con un costo molto basso, che permette di aprire il capitale in varie forme in un arco temporale massimo di 3 anni”.
Il binomio tra finanza e design è la chiave per la crescita di uno dei settori di punta del made in Italy. Lo sottolinea anche Giovanni Vacchi, Partner a Ernst & Young e Head of Mediterranean Corporate Finance Strategy a Parthenon EY.
Ernst & Young studia circa 3900 aziende del settore, monitorandone 1000 e con analisi di dettaglio su circa 200 top player. Solo il 7% delle aziende nel mercato ha un fatturato superiore ai 50 milioni. Più di 800 aziende piccole, di tipo familiare, vanno dall’1 ai 5 milioni e hanno un loro mercato di nicchia. Il margine operativo lordo tuttavia cresce all’aumentare della dimensione aziendale. E questo nonostante ci siano aziende piccole che hanno una reputazione e una riconoscibilità mondiali notevoli, superiori alla dimensione del fatturato.
Le aziende più grandi hanno crescite più performanti ma soprattutto presentano un Ebitda superiore alla media, che è di circa il 10,4%. Inoltre, secondo la ricerca condotta da EY con l’Università Bocconi, il return on equity è superiore negli ultimi 10 anni per le aziende internazionali.
Insieme alle aggregazioni e alla finanza, l’internazionalizzazione è infatti una delle 3 leve della crescita del settore.
Ma cosa vuol dire internazionalità? La risposta è semplice: riuscire a comunicare e cercare il proprio vantaggio competitivo su un valore differenziale del prodotto. Quindi far capire ai prospect che il proprio prodotto è differente per una serie di caratteristiche qualitative, di produzione, di materiali, di servizio rispetto ai prodotti non italiani o comunque più “mass”.
I mercati al momento più interessanti? Quelli sviluppati, in particolare i paesi a noi limitrofi. Perché hanno la nostra stessa cultura del gusto, del design e del bello. Hanno una maggiore comprensione del nostro prodotto e della sua qualità, quindi anche del prezzo. Quelli in via di sviluppo sono comunque da tenere monitorati per gli alti tassi di crescita: 8,3% contro il 4,5% delle economie avanzate.
L’export italiano di arredo e design è di circa 14 miliardi nel 2016. Ci attendiamo un tasso di crescita medio del 5% nei prossimi anni. Francia, Germania e Regno Unito sono tra i più importanti mercati di sbocco. Con quelli emergenti, come Russia, Cina, India, Messico, Arabia Saudita, è interessante cominciare a fare delle partnership.
Per le aziende piccole le operazioni più efficaci sono stand alone, con l’ingresso del fondo in società. Com’è accaduto con Progressio SGR e Giorgetti.
Con le aziende di medie dimensioni (fatturato dai 5 ai 50 milioni di euro) la leva giusta sono le iniezioni di capitale a supporto della crescita oppure le aggregazioni. Quindi operazioni che riescano a portare delle iniezioni di capitale ma anche uno sviluppo di sinergie industriali. Si è verificato ad esempio con Italian Design Brands che ha aggregato Gervasoni, Meridiani, Letti&Co e Very Wood.
Per le aziende dai 50 milioni in su, operazioni industriali o interventi di private equity che portino a un allargamento della gamma, un consolidamento dei mercati e una maggiore internazionalizzazione. Pensiamo a Haworth che ha acquistato Poltrona Frau, Cappellini e Cassina.
Conclusioni
Il mercato è frammentato e ha grandi capacità di consolidamento. Ci sono molte aziende familiari e quindi c’è una forte possibilità di managerializzazione del settore. Analogamente, la strategia d’internazionalizzazione è stata perseguita in modo strutturato solo da alcuni brand. Le strategie di marketing sono perlopiù legate a mezzi tradizionali di comunicazione, quindi anche qui l’omnicanalità e il digital possono portare delle grandi opportunità. La chiave è puntare sull’artigianalità e il savoir-faire, concetti cardine del made in Italy.