Goal Investing. Una rivoluzione annunciata per Anima SGR

Goal Investing. Una rivoluzione annunciata

Un approfondimento a cura di Mario Noera (Docente di economia degli intermediari finanziari, Università Bocconi) per Anima SGR. Cos’è il goal investing, od investimento per obiettivi.

Premessa

Nel 1952 Harry Markovitz ha formalizzato l’idea che è possibile costruire portafogli di investimento imbattibili. Dati i rendimenti attesi, le volatilità e le correlazioni degli strumenti finanziari, l’algoritmo di calcolo di markowitz mischia questi ingredienti e genera un’intera famiglia di portafogli ottimi chiamata “frontiera efficiente”. I portafogli ottimi sono quel portafogli che in teoria assicurano il massimo possibile rendimento per ogni dato livello di rischio. Inoltre, dalla portentosa alchimia statistica dell’ottimizzazione deriva anche un postulato applicativo molto semplice. Basta infatti individuare il livello di rischio tollerabile dall’investitore per trovare il portafogli ottimo più adatto.

Perché è attraente.

L’attrattività della teoria di Markovitz e’ stata tale da diventare per decenni la base indiscussa della pratica professionale di gestori e consulenti finanziari. purtroppo però portafogli imbattibili e facili da usare nella realtà quotidiana non esistono.
il miracolo i portafogli ottimi si materializza cioè e’ solo sulla carta. Come molte costruzioni teoriche, l’eleganza formale dei modello inciampa infatti in molti inconvenienti pratici. Un primo inconveniente è che tutti gli ingredienti della ricetta di Markowitz, rendimenti attesi, volatilità e correlazioni, sono incerti e variano continuamente nel tempo. Il portafogli ottimo rimane cioè ottimo solo per un istante, e l’istante dopo è già diverso. Ma non basta.

Esiste un portafoglio ottimo?

Anche se esistesse un portafoglio ottimo persistente nel tempo, esso non sarebbe affatto una ricetta facile da prescrivere al paziente. In finanza, come in medicina, non si possono curare tutte le malattie con il medesimo farmaco. la finanza comportamentale ha infatti dimostrato che non esistono investitori totalmente avversi o totalmente propensi al rischio. Questo perché ciascun individuo è contemporaneamente sia avverso, sia propenso al rischio.

Nella vita, ciascuno di noi vorrebbe infatti avere sempre la sicurezza di non subire perdite, e nel contempo coltivare anche l’aspirazione a raggiungere il massimo risultato. Ma questi due piccioni non possono essere presi con una sola fava. La finanza comportamentale ci dice cioè che non esiste una dimensione unitaria della tolleranza il rischio capace di descrivere le mutevoli preferenze di ciascun investitore. Per ognuno dei suoi molteplici obiettivi, l’investitore infatti disposto a rischiare in misura diversa. In altre parole, ci vuole una fava differente per ogni piccione da prendere. Markovitz rappresenta però ancora oggi la principale cassetta degli attrezzi di ogni consulente finanziario. Ma cosa può fare il consulente finanziario se nella sua cassetta degli attrezzi ci sono forbici che non tagliano, e cacciaviti che non avvitano?

Il goal investing. La soluzione.

La soluzione per fortuna esiste, ed ha preso il nome di “goal investing”, letteralmente investire per obiettivi. Gli ingredienti base del goal investing sono gli stessi sostanzialmente usati da Markovitz, cioè rendimenti attesi, volatilità e correlazione.
Ma la ricetta per usarli è diversa. Anziché, come nell’approccio di Markovitz, partire dal rischio e risalire al massimo rendimento atteso compatibile con quel rischio, il goal investing fa il contrario. Definisce un obiettivo di rendimento, di solito medio annuo, e cerca di minimizzare nel tempo il rischio di perseguirlo.

Al contrario dell’approccio tradizionale, il gol investing parte cioè dal censimento degli obiettivi elementari dell’investitore. Ad esempio, cambiare l’auto dopo 3 anni o garantirsi una pensione integrativa in 10 anni. Questi obiettivi sono immediatamente rappresentabili come quantità di risorse necessarie per essere realizzati. As esempio, 30 mila euro per l’auto, centomila per la pensione integrativa e così via. Dall’entità delle risorse necessarie, si può poi derivare, attraverso un semplice calcolo finanziario, il rendimento minimo necessario per raggiungerle. Ovviamente nell’arco di tempo che si ha a disposizione.

A questo punto, dopo avere definito l’obiettivo di rendimento necessario per raggiungere ciascun obiettivo, si analizza il rischio che si verifica, se quel rischio tollerabile e gestibile. Ma anche qui e c’è una differenza fondamentale rispetto a Markovitz. La tolleranza al rischio da misurare non è più l’astratta attitudine del cliente a sopportarlo, ma la concreta possibilità di realizzare ciascun obiettivo.

Lo “shortfall risk”.

Il rischio di non realizzare l’obiettivo si chiama in finanza a “shortfall risk”. In parole semplici, se l’obiettivo finale ottimale fosse accumulare 30 mila euro per acquistare un auto nuova, sarebbe probabilmente tollerabile il rischio, cioè lo shortfall risk, di finire con 25.000 euro anzichè con i 30.000 previsti. Ma non sarebbe invece tollerabile il rischio di finire con soli 10.000. Con 25.000 euro non si comprometterebbe infatti l’obiettivo di acquistare l’auto, mentre con 15.000 forse sì. La perdita, nel goal investing, non è tollerabile solo se non consente di raggiungere gli obiettivi.

Il goal investing cambia quindi sia l’approccio alla consulenza, sia le tecniche di asset management e di gestione del rischio. Nel prossimo futuro, infatti, è molto probabile che gestori e consulenti saranno sempre più giudicati per la loro capacità di rispettare i patti nel tempo piuttosto che sulla pretesa di azzeccare sempre le scommesse vincenti. Tutti i cuochi avranno sul banco sempre gli stessi ingredienti, ma solo i bravi chef li sapranno poi mischiare per ottenere esattamente i sapori desiderati per ogni diversa pietanza.

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