I mercati del 2018 e le opportunità di investimento per il 2019 a cura di Andrea Rotti, Direttore Gestioni Patrimoniali di Ersel.
Il 2018 si è rivelato uno degli anni più difficili per i mercati finanziari dell’ultimo periodo; quasi tutte le principali attività finanziarie, infatti, chiudono con un risultato negativo, fatto che non si è verificato nemmeno nel 2008, quando abbiamo avuto la grande crisi finanziaria.
Molti articoli di giornali riportano questo come l’anno più difficile fin dagli anni 70; è chiaro che è venuto meno uno dei principi fondamentali della finanza, della costruzione di portafogli, che è la diversificazione. Avendo attività finanziarie prevalentemente negative, è difficile costruire un mix che abbia un risultato differente. Le stesse categorie Morningstar nei fondi comuni di investimento per i programmi bilanciati mostrano tutti i risultati fra il meno 5 e meno 8 per cento, a seconda della gradazione di rischio. Oltretutto, è difficile trovare una vera motivazione per tanta negatività. Non abbiamo avuto un evento specifico come la crisi dei mutui subprime del 2008, come la crisi del debito pubblico in europa nel 2011.
Certo, è stato l’anno in cui la liquidità generata dalle banche centrali, in termini complessivi, quindi sommando quella della federal reserve, della BoJ, della banca centrale europea e della Bank of England, ha raggiunto il suo punto di apice, e da qui è destinata verosimilmente a scendere, ma indubbiamente una negatività così forte merita qualche altra spiegazione.
Proviamo allora vedere qual è il contesto di riferimento del quadro macroeconomico e politico. Indubbiamente i mercati dovranno fare un assessment, una valutazione, di qual è il rallentamento dell’economia in corso. Veniamo da un epoca di crescita sincronizzata nel 2017 ed ancora, all’inizio del 2018, tra tutte le principali economie, con addirittura alcune economie in crescita sopra il potenziale, segnatamente quella americana, e dovremmo passare a un’epoca di crescita economica più vicina al potenziale, quindi rallentare. Il mercato è incerto su quale valutazione fare della dimensione del rallentamento.
Dal nostro punto di vista, è vero che è un cambio di regime, ma non è certo un tracollo. Oltretutto, va considerato che, soprattutto in America, l’azione della federal reserve, della banca centrale, può tornare supportiva. Siamo passati anche qui da un contesto in cui si riteneva che la federal reserve dovesse gestire surriscaldamento e potenziale inflazione, a un contesto in cui verosimilmente guarderà più alla dimensione del rallentamento, ed anche all’impatto che questo ha sui mercati finanziari.
La volatilità recente, le performance così negative anche dell’indice americano, sicuramente introdurranno nel comportamento della Fed una nota di cautela. Il tema principale, però, resta il conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina. Ha già impattato molto sulle fiducie; abbiamo visto gli indici di fiducia in Cina, L’ISM, scendere sotto il livello di 50, ed anche in America il livello dei nuovi ordinativi, di nuovo segnalano la fiducia, è sceso non sotto 50, ma in maniera significativa in questi giorni. Sono in corso i negoziati tra le delegazioni americane e cinesi, proprio per evitare un ulteriore inasprimento del conflitto commerciale, ed evitare soprattutto che il livello dei dazi passi dal 10 per cento al 25 per cento a marzo.
I movimenti dei mercati finanziari sembrano dare fiducia a questa prospettiva; resta poi da valutare il contesto europeo, che forse è quello di più difficile lettura. Da un lato abbiamo rallentamento economico in Germania, derivante anche qui dalle tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti, che molto impattano sulla fiducia. Abbiamo poi una Brexit che non riesce a trovare una vera via di indirizzo, e quindi aumenta l’incertezza complessiva, ed un contesto politico avverso alla progettualità corrente dell’Unione Europea in Italia e in parte anche in Francia, che vedrà poi una sua qualche forma di indirizzo con le elezioni europee di metà anno.
Venendo alla valutazione dei mercati finanziari, ed a cosa guardare con maggiore attenzione, la nostra analisi si articola su tre aspetti: il sentiment del mercato, il livello delle valutazioni ed i fondamentali sottostanti.
Per quanto riguarda il sentiment del mercato, constatiamo che i livelli di avversione al rischio sono particolarmente elevati; hanno raggiunto dei punti di picco e, spesso, in queste situazioni, il mercato poi assume una direzione più favorevole. Le valutazioni, con la discesa dei prezzi, soprattutto sul mercato azionario, dell’ultimo trimestre, hanno raggiunto dei livelli indubbiamente interessanti, o di maggior supporto. Anche il mercato americano, che è storicamente, almeno in questi anni, il più caro tra tutti i mercati azionari, ha raggiunto oggi i livelli di multipli vicini alla parte bassa del range storico a 20 anni, e quindi il contesto valutativo è indubbiamente più di supporto. Però sappiamo che le valutazioni da sole non bastano ad invertire la rotta dei mercati; bisogna che i fondamentali sottostanti siano solidi, ed il fondamentale principale da guardare, dal nostro punto di vista, rimane quello della crescita utile americana.
Su questo fronte cosa possiamo dire? Le previsioni degli analisti sono ancora positive: un più 10 per cento atteso per il 2019. Chi guarda le cose con un occhio più macroeconomico, probabilmente ha un numero più contenuto. Dal nostro punto di vista, uno dei punti fermi è che è difficile prevedere per il 2019 una recessione degli utili americani senza passare da una recessione dell’economia, e non è questo il nostro scenario centrale.
Venendo infine all’attività di gestione, alla costruzione dei nostri nostri portafogli, partiamo dalla considerazione che abbiamo una configurazione più cauta rispetto al passato. In estrema sintesi, abbiamo ridotto in parte la quota azionaria; abbiamo meno esposizione al credito, ed abbiamo una presenza di obbligazioni governative americane come valvola di sfogo di sicurezza per il portafoglio. Non intendiamo però ridurre eccessivamente i rischi di portafoglio, proprio perché da un lato la risoluzione o il migliore indirizzo delle tematiche commerciali tra Cina e Stati Uniti, e dall’altro un atteggiamento più conciliante della Fed, possono favorire una ripresa dei mercati finanziari, e una stabilizzazione rispetto alle turbolenze vissute nella fine del 2018. Avendo ridotto i rischi di portafogli, abbiamo però cercato di mantenere diversificazione e selettività, quindi venendo alle quote azionarie, continuiamo ad avere una buona presenza di equity americano, per il quale non ipotizziamo, come dicevamo prima, una recessione dell’economia, né tantomeno dei profitti. Abbiamo invece un’esposizione più costruttiva ai paesi emergenti, proprio perché la risoluzione più favorevole del conflitto commerciale Cina-Stati Uniti, ed una Fed più conciliante, possono essere un buon driver per questa asset class. Siamo invece più cauti su Europa e Giappone, per la minor presenza di driver di investimento.
A livello obbligazionario, come dicevo, abbiamo posizioni in obbligazioni americane più che non in obbligazioni governative europee, per una parte sicura del portafoglio, e nella parte più speculativa o più rischiosa del portafoglio obbligazionario, siamo esposti invece alle obbligazioni emergenti in valuta locale, anche qui considerando che la risoluzione, od il migliore indirizzo delle tematiche commerciali, e un dollaro debole, possono ben favorire questa asset class, che offre già di per sé dei rendimenti interessanti.
Nei prossimi tempi è lecito attendersi dei mercati finanziari più volatili, in qualche modo meno direzionali rispetto agli ultimi anni, e quindi sarà importante, nella politica di portafoglio, avere una certa flessibilità di comportamento ma, soprattutto, introdurre selettività, ricerca di temi di stock picking a livello societario, o di trend settoriali che possano aiutare a mitigare la volatilità complessiva dei portafogli.
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