Il “coffee break” delle banche centrali: anche la BCE ha aggiustato il tiro della politica monetaria. Outlook di marzo sui mercati finanziari presentato da Carlo Benetti, Market Specialist di GAM Italia.
Sono almeno tre i principali rischi dello scenario globale. I negoziati tra Stati Uniti e Cina stanno riscuotendo un pedaggio pesante in termini di investimenti, occupazione e consumi. Sembra che dietro l’angolo ci sia sempre un nuovo angolo, una specie di tela di Penelope che per qualche commentatore è voluta, come sia nell’interesse di Trump per presentarsi alla prossima campagna presidenziale come tenace, abile negoziatore. Può darsi. In ogni caso le schermaglie commerciali tra Stati Uniti e Cina sono il velo di maya dietro il quale si gioca la vera competizione, che è sul primato tecnologico e strategico nel lungo periodo. Secondo elemento di preoccupazione è il rallentamento cinese, le sue conseguenze sulle economie occidentali e il settore auto tedesco, ad esempio, lo sta già sperimentando. Il governo e la banca centrale cinesi hanno entrambi dispiegato misure fiscali e monetarie, ma il sentiero in cui si muovono è stretto. Da una parte il controllo del rallentamento dell’economia, ma dall’altra l’imponente debito privato. Il terzo fattore di rischio è nelle condizioni politiche in Europa: non ci facciamo mancare nulla. Siamo alle prese con Brexit, con il rinnovo del parlamento europeo, pubbliche opinioni polarizzate, c’è il rallentamento economico. Lo scenario potrebbe ulteriormente guastarsi se aumentassero i rendimenti, aggravando i ratio patrimoniali ed i costi di finanziamento del sistema bancario.
Quando Stati Uniti e Cina prendono il raffreddore, l’Europa prende l’influenza. Lo ha scritto pochi giorni fa Martin Wolf. Proprio per evitare l’influenza, la banca centrale europea è intervenuta prontamente con l’antibiotico del TLTRO, finanziamenti espressamente orientati all’economia reale, e così la BCE ha raggiunto la Federal Reserve, la Bank of England, la Bank of Australia nel riaggiustare il tiro della politica monetaria, prendendosi una sorta di pausa caffè nel percorso della normalizzazione dei tassi, e non è un caso che pochi giorni fa Peter Praet, il capo economista della banca centrale europea, abbia specificato che si tratta di normalizzazione degli strumenti, ma non delle politiche. Per la Fed è un momento di pausa, non la fine, non il termine del ciclo restrittivo che prosegue, infatti, con il riavvolgimento del nastro delle politiche non convenzionali alla velocità di 50 miliardi di dollari al mese. Per quanto riguarda la banca centrale europea, direi che l’operazione della settimana scorsa certifica almeno due condizioni; che in Europa, nell’Eurozona, il rallentamento dell’economia globale rischia di amplificarsi in modo pericoloso, deteriorando il quadro economico più che altrove, e la seconda cosa, la seconda condizione certificata, è che la banca centrale vede accresciuti rischi nel down side, e dunque gioca di anticipo. In questo momento l’eurozona non può permettersi l’influenza, fuor di metafora una recessione, per via di difese immunitarie indebolite: forte incertezza politica, rallentamento tedesco con il settore auto nella tempesta perfetta, l’inflazione lontana dall’obiettivo, tassi a zero, bilancio tirato.
Quando il nuovo linguaggio delle banche centrali innesca un recupero delle borse così veemente come quello che abbiamo visto nei primi mesi dell’anno, beh noi rinnoviamo l’invito alla cautela. Confermiamo le esposizioni rischiose, ma ribadiamo anche che l’obiettivo principale, nel 2019, è la preservazione del capitale, non la massimizzazione del rendimento. In gennaio dicevamo che verosimilmente quest’anno peseranno più che in passato le scelte di asset allocation strategica, ovvero le scelte di lungo periodo. Torniamo ai basic, dicevamo. Ragioniamo sulla relazione tra rendimenti, volatilità, correlazioni, gli ingredienti principali della corretta costruzione di qualsiasi portafoglio. Poi, naturalmente, c’è la costante, la continua manutenzione dell’asset allocation strategica, ovvero gli aggiustamenti tattici presi in funzione delle caratteristiche di scenario. Non conta solo l’esposizione ad azioni, obbligazioni, strumenti alternativi, ma anche la loro dinamica, le dinamiche che hanno alle fasi alternanti di propensione o di avversione al rischio. Ad esempio, avrebbe poco senso diversificare il rischio azionario con gli high yield, entrambe classi di attivo che reagiscono in modo forte alla volatilità. Nei portafogli diversificati, il nostro team multi asset di Milano sta provvedendo alla manutenzione di breve termine affiancando i beta tradizionali con i cosiddetti beta attivi, cioè temi di investimento tattici. Ad esempio, nel comparto azionario, scelte di stile… growth, value, momentum, un po’ di capitalizzazione. Nella componente obbligazionaria scelte di curva o tipologia di strumenti, floater o indicizzati. L’uso di queste due leve che diciamo più classiche, è integrato dall’impiego di altre due leve, ovvero le componenti alfa e protezione, e l’obiettivo di quest’ultime è aggiungere rendimento da fonti decorrelate, per quanto possibile, dalle asset class tradizionali, e proteggere dai rischi specifici che si presentano nei diversi frangenti di mercato. Quindi, dopo l’effervescenza dei primi due mesi dell’anno, diminuiamo il rischio direzionale, prendiamo gradualmente profitto da azioni, high yield, convertibili. La liquidità viene reinvestita in beta attivi, ad esempio i titoli indicizzati all’inflazione, che scontano nei prezzi il rallentamento economico che abbiamo registrato negli ultimi mesi, e per l’appunto nella componente di protezione, strategie legate alla volatilità. In altre parole, abbiamo preso parziale profitto dalle componenti più tradizionali di portafoglio per incrementare posizioni più attive decorrelate o di difesa, in previsione di uno scenario che, a nostro avviso, si presenta volatile, fragile, soggetto a più frequenti cambi di direzione.
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