Finanza e benessere economico | Anima Sgr

Da sempre siamo abituati a dare per scontata l’idea che lo sviluppo della finanza giovi incondizionatamente alla crescita dell’economia. Sotto questo profilo, la crisi finanziaria ha infranto molte certezze ed avviato un salutare ripensamento critico, che tuttavia è rimasto confinato nell’ambito strettamente tecnico della stabilità dei mercati e degli intermediari. Solo di rado ci si è spinti invece a ragionare sul ruolo e sulle modalità con cui lo sviluppo della finanza interagisca con la crescita del benessere economico collettivo.

Un recentissimo libro di Mariana Mazzuccato, un economista dell’Università di Londra, che significativamente si intitola “Il valore del tutto”, mette invece la finanza al centro del quesito fondamentale della scienza economica, vale a dire se le attività finanziarie contribuiscano alla generazione di valore per la collettività, o se siano invece da considerare rendite, cioè attività che non creano valore di per sé, ma assorbono il valore generato da altri settori produttivi dell’economia. La risposta al quesito non è ovviamente semplice né univoca, ma sollecita riflessioni importanti e tutt’altro che scontate.

Analizzando dati su un arco temporale di oltre due secoli, Thomas Picketty in un libro di grande successo di qualche anno fa, intitolato “Il capitale nel xxi secolo”, aveva mostrato che il capitale finanziario non è sempre necessariamente funzionale all’accumulazione del capitale produttivo. Non si traduce, cioè, automaticamente in maggiore potenziale di crescita economica, ma tende talvolta a produrre rendimenti che trovano occasioni di reinvestimento nella finanza stessa, anziché nella produzione di merci e di servizi.

Se i rendimenti speculativi e della ricchezza sono sistematicamente più elevati del rendimento degli investimenti produttivi, l’incentivo a distogliere risorse da questi ultimi diventa allora irresistibile. Le conseguenze di questa distrazione di risorse verso le rendite puramente finanziarie sono da una parte il depauperamento del potenziale di crescita economica, e dall’altra un aumento progressivo della disuguaglianza nella distribuzione del reddito, perché dei più elevati rendimenti speculativi beneficiano solo i pochi detentori di grandi ricchezze finanziarie, ma non i profitti delle imprese produttive, né i salari di chi vi lavora. Nell’interpretazione di Picketty, aumento della disuguaglianza e bassa crescita economica hanno quindi una matrice comune nell’eccesso di finanziarizzazione dell’economia.

Non c’è dubbio che l’eccessiva disuguaglianza sia oggi uno dei grandi problemi irrisolti delle nostre economie. Con la consueta efficacia di comunicazione, l’ultimo rapporto dell’organizzazione umanitaria Oxfam ci informa che oggi sono non più di 26 gli individui che da soli si spartiscono, nel mondo, una ricchezza equivalente a quella dei restanti tre miliardi e mezzo di persone.

Statistiche ufficiali più strutturate, come ad esempio quelle pubblicate annualmente dall’OCSE o dalla Banca Mondiale confermano questo fenomeno, e mostrano che la disuguaglianza anche all’interno dei paesi occidentali ha ormai raggiunto i picchi massimi degli anni venti e trenta del secolo scorso, e che come allora potrebbe rivelarsi socialmente insostenibile. Tuttavia, l’analisi economica non sembra ancora avere correlato la stagnazione secolare delle economie occidentali a questa evidenza, ed ancora meno è stata finora posto al centro dell’attenzione il possibile nesso tra aumento abnorme della disuguaglianza, bassa crescita economica, ed eccesso di finanziarizzazione speculativa.

Il Fondo Monetario Internazionale, sulla base di un’analisi empirica su un gran numero di paesi, sviluppati e non sviluppati, finalizzata a quantificare l’importanza relativa di ciascuno dei molteplici fattori che possono condizionare la sostenibilità della crescita economica, dal funzionamento delle istituzioni amministrative, alla qualità dell’istruzione e del sistema finanziario, all’efficienza del sistema finanziario stesso, ha mostrato di recente che il fattore di gran lunga più importante per sostenere una crescita economica stabile e duratura è proprio la capacità di un paese di ridurre la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi e della ricchezza.

Su questo terreno, se l’ipotesi di Picketty è fondata, una riflessione più approfondita su finanza buona, che è un propellente essenziale dello sviluppo, e finanza cattiva, che invece lo depotenzia a favore di pochi, potrebbe dare un contributo significativo, non solo a sbloccare i meccanismi di crescita delle nostre economie, ma anche a renderle più sostenibili e più eque.

Altri post che potrebbero interessarti

Ottimizzato da Optimole