L’intervista al presidente di Confindustria Vincenzo Boccia nella trasmissione Faccia a Faccia di Giovanni Minoli del 28 maggio 2017. Il presidente parla di tutto, dall’attacco a Il Sole 24 Ore alle amarezze; dal costo del lavoro da tagliare ai rapporti con il sindacato.
Vincenza Boccia, salernitano, 52 anni. AD dell’azienda di famiglia. Eletto Presidente di Confindustria il 25 maggio del 2016 dopo una campagna elettorale dura, vinta sul filo di lana. Simpatico, gioviale. Chi lo conosce dice che è un uomo della discontinuità. Con lui, la discontinuità è arrivata in Confindustria.
Il presidente nega decisamente.
Se n’erano accorti accorti. La chiave di lettura era salvaguardare l’occupazione. Finché si è potuto, non si è attivato un piano di risanamento. Ora sono costretti a realizzarlo.
Pensa di no. E’ evidente che la scoperta dei guai abbia creato appetito in qualcuno.
Un grande professionista. Come lettore si augura di rileggerlo sul Sole, come Presidente non dipende da lui, ma dal board della società, di cui Confindustria è azionista.
E’ un consorzio di banche, non c’è solo Intesa. Come azionisti, hanno ascoltato il board e gli advisor finanziari. Poi è stato deciso l’aumento di capitale, per la loro quota. Sono al primo step di una grande partita; occorre poi risanare e rilanciare.
C’è un grande compattamento. Normale dopo uno scontro duro. Sono una grande comunità, e si converge tutti insieme verso un’unica direzione. Il consenso sui contenuti e sul merito sembra evidente.
Amarezza, più che altro. L’impegno come presidente allontana dall’azienda, dalla famiglia e dai collaboratori.
Usare l’economia per costruire un modello di società inclusiva ed aperta, recuperando la legittimazione della cultura industriale del Paese.
In italia il costo del lavoro è superiore del 20% rispetto alla media europea. Dovremmo portarci su quella media. La questione andrebbe letta su due aspetti. Uno di regole, ed uno economico fiscale.
Non è una questione che li competa, è molto marginale. Il fatto che il governo rischi di cadere sui voucher è un segno del senso di priorità che c’è. Cadere sui voucher è un senso che non si siano comprese le grandi priorità del Paese.
E’ in corso un confronto serrato, bisogna parlare con i sindacati. Vanno cercati dei punti di convergenza, se ci sono. Il messaggio era riportare la questione industriale all’attenzione del Paese e dell’Europa. La questione la portano avanti i protagonisti della fabbrica: imprenditori e lavoratori.
La corresponsabilità sì, ma è un po’ diverso. Ognuno mette qualcosa nell’interesse del Paese. Rinuncia a qualcosa per il bene comune.
No. La Germania insegna. Applicandolo, sono 30 punti avanti a noi in termini di produttività. E’ esattamente per questo che la Germania è così avanti all’Italia.
Il sindacato è come i parenti: non puoi sceglierli, ma te li trovi. Il punto è che non serve fare referendum quando hai alternative. Si corre il rischio di fare scelte sbagliate. Il sindacato deve capire, e non da solo, che alcuni modelli non fanno gli interessi dei lavoratori, ma peggiorano solo le cose.
Tra tutti. Politica, istituzioni finanziarie, sindacati e Confindustria. Innanzitutto, è un’idea di metodo. Se si è consapevoli dei rischi che si stanno correndo, del grande debito pubblico, bisogna scambiare impegni e rischi del presente per costruire un futuro.
Il primo passo sarebbe condividere questa dimensione di inclusione dei giovani lanciata in Assemblea. Il metodo deve essere quello dove la categorie non rappresentino interessi, ma abbiano una logica di lungo termine per il Paese. Le risposte, formalmente, sono state positive. Adesso bisogna vedere il punto sostanziale.
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