Dall’indagine Einaudi sui risparmi e scelte finanziarie degli italiani, emerge un Paese con una forte propensione al risparmio, ma le famiglie faticano a valutare correttamente i rischi e le relative coperture. Il commento di S. Carrubba, giornalista e presidente Centro Einaudi.
Dall’Indagine svolta nel 2017 emergeva una ripresa lenta e incompleta dei bilanci di famiglia. La rilevazione del 2018 è più rassicurante: i segni della ripresa sono più diffusi tra le categorie del campione e interessano tutti i sottogruppi. Ben il 92 per cento degli intervistati dichiara di provvedere autonomamente, senza ricorrere ad aiuti di terzi, al bilancio della famiglia; si dimezza dal 40 al 20 per cento la quota di capifamiglia, non indipendenti finanziariamente, che afferma che il suo stato è
causato dalla crisi. Il saldo tra giudizi di sufficienza e insufficienza del reddito si porta a +55,6 per cento, in progresso di circa 5 punti rispetto al 2017 (+51) e risulta quasi doppio rispetto al minimo toccato nel momento peggiore della crisi (+30).
L’area del non-risparmio, ossia delle famiglie che non hanno messo da parte alcunché nei dodici mesi precedenti l’Indagine, si contrae dal massimo storico del 61,3 per cento degli intervistati nel 2012 al 52,7 per cento nel 2018. Specularmente, la percentuale di famiglie risparmiatrici si porta oltre il 47 per cento, dal 43,4 per cento del 2017. La propensione al risparmio
(calcolata chiedendo agli intervistati quale percentuale del reddito abbiano risparmiato) risale lievemente al 12 per cento del reddito, il valore più alto dal 2001.
Dopo aver temuto per alcuni anni di non riuscire a sostenere il tenore di vita durante la vecchiaia, gli intervistati tornano a ritenere di potercela fare. Il saldo tra ottimisti e pessimisti sulla possibilità di sostenere il tenore di vita nella vecchiaia sale a +31,2 per cento, in netto aumento sia sull’anno precedente (+19,1 per cento), sia sul minimo toccato nel 2016 (+6,7 per cento): il valore del 2018 è il migliore della serie storica a partire dal 2007. Solo il 21,7 per cento delle persone con meno di 35 anni dichiara però di aver sottoscritto il 2° o il 3° pilastro pensionistico e avrà dunque una forma di integrazione della pensione
obbligatoria. Tendono a prevalere negli italiani una certa passività nei confronti dei rischi collegati all’invecchiamento e la preferenza al “far da sé”: si provvede infatti da soli ad accantonare e investire il necessario per auto-assicurare i rischi legati alla vecchiaia.
La principale ragione di risparmio è quella genericamente precauzionale, che interessa il 43 per cento circa dei risparmiatori “intenzionali”: appare particolarmente diffusa tra le donne, i più giovani e i più anziani. Seguono il futuro dei figli (21,1 per cento), la vecchiaia (19,7 per cento) e la casa (14 per cento). Prima della crisi, la casa occupava la seconda posizione (26 per cento), dopo l’incertezza (42 per cento) e prima della vecchiaia (21 per cento).
Quando il risparmiatore si trasforma in investitore, mette al primo posto l’obiettivo di non perdere neppure un centesimo di quanto ha risparmiato. La sicurezza rimane, di gran lunga, il principale obiettivo, ed è citata al primo posto come obiettivo da circa 3 intervistati su cinque; seguono il rendimento di breve periodo (13,6 per cento), la liquidità (11,7 per cento) e, per ultimo, il rendimento nel lungo periodo (6,7 per cento).
La luna di miele dei risparmiatori con le obbligazioni è terminata: le detiene in portafoglio il 19 per cento degli intervistati (29 per cento nel 2007) e, per i possessori, esse rappresentano ormai solo il 24 per cento dell’attivo (36 per cento nel 2015). Dalle obbligazioni gli investitori intervistati sono usciti in due direzioni: la liquidità (favorita dal tasso di inflazione inferiore all’1 per cento) e il risparmio gestito. Nell’edizione del 2018, il 21,4 per cento del campione ha dichiarato il possesso di almeno una forma di risparmio gestito (negli ultimi 5 anni): i sottoscrittori di fondi comuni sono risultati il 10,9 per cento (7,2 per cento nel 2015), quelli di ETF il 7,3 per cento (2,3 per cento nel 2015), quelli di polizze unit linked il 2,8 per cento (2 per cento nel
2015).
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