La Fed ha dato ai mercati quello che volevano, i negoziati commerciali tra Stati Uniti e Cina sembrano tornati sul piede giusto, Christine Lagarde assume la guida della BCE. Outlook di mercato presentato da Carlo Benetti, Market Specialist di GAM Italia.
I messaggi chiave di questo periodo sono basicamente tre: non ci sono sostanziali cambiamenti nello scenario, le politiche monetarie stanno toccando i loro limiti, l’uso massiccio di tassi negativi e liquiditĂ ne sta indebolendo l’efficacia. Per anni le banche centrali sono state “the only game in town”, diventa quindi urgente l’uso di altri strumenti, la politica fiscale su tutti, da tempo chiesta dagli stessi banchieri centrali. C’è un ulteriore elemento di vulnerabilitĂ , ed è il debito globale, sia pubblico che privato, che costituisce un freno alle misure fiscali, ma minaccia anche la stabilitĂ finanziaria. Tutto questo riguarda il lungo periodo. Per quanto riguarda invece considerazioni piĂą tattiche, la debolezza del manifatturiero e del commercio internazionale è ben compensata dalla stabilitĂ di servizi e consumi. Alla fin fine gli utili societari non sono poi andati così male, in declino per il terzo trimestre consecutivo, ma nel gioco ormai scoperto di aspettative sufficientemente prudenti per essere facilmente superate, il 75 per cento delle societĂ che hanno comunicato i risultati ha in effetti battuto le attese, dando in questo modo un po’ di vento alle vele delle borse. Il resto lo hanno fatto la Federal Reserve, che il 30 ottobre ha dato ai mercati quello che volevano, cioè il terzo taglio dei tassi. La forza relativa dell’economia americana rispetto al resto del mondo, e la ritrovata distensione nelle trattative commerciali fra Cina e Stati Uniti. I rischi con i quali avremo a che fare ancora per un po’ di tempo sono le tensioni commerciali, che si riverberano in una sorta di inedito tiro alla fune con le banche centrali, e le incertezze politiche, che si declinano nelle procedure di impeachment a Washington, nelle elezioni anticipate in Gran Bretagna, nello scacchiere medio orientale, nei precari equilibri in America Latina, con Cile e Argentina sotto i riflettori.
Christine Lagarde succede a Mario Draghi nell’anno in cui l’euro entra nel suo terzo decennio di vita, e sono stati 20 anni vissuti pericolosamente. L’Economist ha definito l’euro un sopravvissuto, e nel 2012, nello stesso discorso del “whatever it takes”, Draghi paragonò la moneta unica al calabrone che non dovrebbe volare, ma invece vola. I prossimi 20 anni non saranno meno complicati. Lagarde eredita da Draghi una cassetta degli attrezzi molto ben fornita, in funzione, ma ereditĂ anche una economia in rallentamento, un’inflazione in ritardo e, soprattutto, la solitudine dei banchieri centrali. Che le politiche monetarie stiano raggiungendo i loro limiti, e che debbano essere finalmente affiancate da scelte di politica economica, ormai lo leggiamo anche sulle etichette dell’acqua minerale. E’ probabile però che anche Lagarde, come Draghi, resterĂ sola a reggere un peso che difficilmente verrĂ alleviato dalle politiche economiche, perchĂ© le politiche fiscali sono impossibili senza debito, e dunque sono limitate a quei paesi che hanno spazio sufficiente di manovra, e magari quelli che hanno spazio di manovra difettano di volontĂ politica. Dall’altra parte le riforme richiedono un investimento di capitale politico di lungo termine, in parole povere un coraggio e una forza che oggi nessun leader europeo sembra possedere. Se dovessi fare un pronostico sul mandato di Lagarde alla BCE, direi che la continuitĂ con Mario Draghi sarĂ sotto il segno del pragmatismo. I confronti fra cosa farĂ anche Christine Lagarde e cosa avrebbe fatto Draghi saranno un esercizio vacuo. Le condizioni cambieranno, si presenteranno fenomeni nuovi, circostanze inedite. Possiamo però presumere che Lagarde sarĂ altrettanto pragmatica, ed è una parola “pragmatico, pragmatismo” che deriva dal greco “pragma”, che rimanda a “faccenda, fare, negozio, incombenza”, e la intendo in senso positivo, cioè l’atteggiamento intellettuale di chi persegue un obiettivo con l’intenzione di raggiungerlo, e decisamente all’opposto del dogmatismo, ovvero l’accettazione di principi dimostrati non su base di razionalitĂ , ma di autoritĂ .
Considerando la pioggia che oggi affligge Milano, non so se si possa parlare di estate di San Martino. Forse però ne possiamo parlare a proposito dei mercati, perchĂ© la Fed ha dato ai mercati quanto chiedevano, i negoziati commerciali fra Stati Uniti e Cina sembrano tornati sul piede giusto, e la BCE riavvia in questo mese di novembre il quantitative easing deliberato due mesi fa a settembre. A notizie positive i mercati rispondono in modo positivo. Però anche alle notizie grame, che non sono mancate nel corso dell’anno, i mercati hanno risposto in modo positivo. In questo chiasmo imperfetto si annida il rischio dell’eccesso di compiacenza, di indifferenza ai rischi. E’ molto improbabile che questo ultimo trimestre assomigli a quello che ha funestato la fine del 2018. Ciò non di meno, nella fase tarda di un ciclo positivo così lungo, l’eccesso di fiducia nel mercato o semplicemente nelle proprie capacitĂ porta, o rischia di portare, a uno strabismo dell’attenzione. Ci si concentra piĂą sul tempo presente che sulla possibilitĂ di cambiamenti nel futuro. Confermiamo dunque il nostro atteggiamento di ottimismo prudente; restiamo in leggero sovrappeso nel rischio azionario, dove prediligiamo societĂ con buona visibilitĂ di utili. Restiamo diffidenti del debito governativo, soprattutto europeo, a favore di credito ed emergenti. La parte di portafoglio che è in condizioni favorevoli sarebbe messa in sovrappeso di direzionalitĂ , ed è allocata nelle strategie non direzionali neutrali, per quanto possibile, multi asset meglio se a bassa volatilitĂ .
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