Hong Kong: da ex colonia britannica a città stato. Ecco tutto quello che c’è da sapere | Euronews

Hong Kong conta sette milioni di abitanti, che, cresciuti all’ombra del diritto e dei valori britannici, sono restii a piegarsi al pensiero unico di Pechino…

Un passato invadente quello di Hong Kong. Il controllo britannico termina, come da contratto, il 1 luglio del 1997. In base alla formula, ‘una Cina due sistemi‘ la città però conserva, almeno fino al 2047, un sistema politico diverso dalla Cina continentale e un’ampia autonomia. E sotto sovranità cinese, nel maggio del 1998 si tengono le prime elezioni per eleggere il Consiglio legislativo. Tung Chee Hwa è il primo premier di questa nuova era.

La storia recente però sembra dimostrare una spiccata volontà di Pechino a chiudere quanto prima con le ‘anomalie’ dell’ex colonia britannica. Non è semplice però imbrigliare la città-stato descritta come l’Oriente che incontra l’Occidente‘. Non solo per la spregiudicatezza economico-finaziaria: Hong Kong infatti resta crocevia del commercio internazionale ed è una delle principali piazze finanziarie del mondo.

Ma anche perché i suoi sette milioni di abitanti (è una delle città più densamente popolate al mondo con quasi 6500 abitanti per Km2) sono cresciuti all’ombra del diritto e dei valori britannici, e difficilmente si piegano al regime del partito unico di Pechino. (Resta, tra gli altri, alla storia il dissapore tra Londra e Pechino causato dall’ultimo governatore britannico, Chris Patten, che realizzò riforme democratiche durante gli ultimi anni di sovranità britannica).

E così, non passano neppure dieci anni, è infatti il marzo del 2005, quando scendono in piazza per chiedere le dimissioni di Tung Chee-hwa , che ufficialmente si dimette per problemi di salute. Anche il silenzio di Hong Kong fa paura, come quello dei 150 mila manifestanti che nel 2009 con grandissima partecipazione hanno ricordato le vittime della piazza Tienamen.

Intanto i governatori della città-stato si susseguono: i governatori sono scelti da un comitato elettorale che varia da 400 a 1.200 membri, fedelissimi a Pechino. Lo scollamento tra il Paese reale e la sua rappresentanza politica sfocia nella prima rivoluzione degli ombrelli del 2014. Un movimento nato dal basso, che invade la città per 79 giorni con una sola richiesta: più democrazia e più partecipazione nel rispetto degli accordi stipulati nel 1997.

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