Il cambiamento climatico e i nostri risparmi | Anima Sgr

Il cambiamento climatico e i nostri risparmi. Qual è l’influenza del primo sui secondi? A cura di Mario Noera, Docente di Finanza ed Economia dei mercati e degli intermediari finanziari Università Bocconi.

La recente conferenza delle nazioni unite sul clima ha riacceso i riflettori sul problema dei cambiamenti climatici. nonostante il tema sembri ancora molti l’ennesima iperbole gonfiata dai media, il problema invece è del tutto reale, e la minaccia è davvero seria. Per togliersi ogni dubbio residuo basta dare un’occhiata alla sterminata documentazione scientifica pubblicata dall’IPCC, l’agenzia intergovernativa delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici appunto. Il Global Risk Report, pubblicato quest’anno dal World Economic Forum, colloca addirittura le emergenze climatiche in cima alla lista dei rischi di maggiore impatto e di sempre più alta probabilità.

L’evidenza è peraltro sotto gli occhi di tutti. Nel mondo, nell’arco di un solo triennio, dal 2015 al 2018, il numero delle grandi emergenze generate ogni anno dal clima è triplicato rispetto alla media annua dei 35 anni passati, passando da 5 a oltre 15 eventi catastrofici all’anno. I danni economici diretti derivanti da uragani e alluvioni sono aumentati di ben 7 volte, dai 14 miliardi di dollari del 1980 agli oltre 100 miliardi di dollari di oggi. Anche per le autorità e per i governi fare finta di niente è diventato di conseguenza sempre più difficile. Le iniziative delle organizzazioni internazionali e dei singoli governi tendono infatti a moltiplicarsi, e promettono di tradursi, nel giro di pochi anni, anche in misure legislative e regolamentari molto drastiche.

Il problema di contrastare i rischi climatici è però immane, ed il tempo utile ormai è molto, molto poco, non più di dieci o vent’anni al massimo. Come ormai tutti sanno, i cambiamenti climatici originano prevalentemente dalle emissioni di CO2, cioè dal biossido di carbonio, rilasciate da praticamente tutte le attività umane: produzione di energia, processi industriali, produzioni agricole, trasporti, costruzioni, termoregolazione domestica, e così via. Se, come concordato dai governi alla Conferenza di Parigi del 2015, si vuole davvero mantenere il riscaldamento della terra al di sotto di un grado e mezzo aggiuntivo da qui al 2030, la crescita delle emissioni di CO2 dovrebbe essere completamente azzerata entro il prossimo decennio il che, come sottolinea anche il settimanale The Economist, implica un ribaltamento completo e anche straordinariamente accelerato dell’intera economia mondiale.

Per dare un’idea dell’entità del problema, basta pensare che l’ordine di grandezza dello sforzo è stimato in almeno 1000 miliardi di dollari l’anno a livello globale, tra i 200 e 300 miliardi di euro l’anno nella sola Unione Europea. La sfida del clima impone cioè la mobilizzazione di risorse colossali in direzione di investimenti di riconversione produttiva e di tutela ambientale, che a loro volta presuppongono l’ampliamento dei canali di raccolta alternativi di risorse, come ad esempio i cosiddetti green bonds, il radicale riorientamento delle scelte di portafoglio degli investitori, ed anche la progressiva revisione dei criteri di erogazione del credito da parte delle banche.

Suo malgrado, il mondo della finanza e quello bancario si trovano quindi al centro di questo enorme cambiamento. La riconversione produttiva genera però, per il sistema finanziario nel suo complesso, anche grandi rischi, non soltanto allettanti opportunità. Il cambiamento climatico non aumenta, infatti, solo il rischio di danni fisici, cioè quelli direttamente provocati da eventi catastrofici come uragani e alluvioni, che impattano ovviamente sulle compagnie di assicurazione e sull’intera catena delle riassicurazioni, ma genera anche i rischi cosiddetti di transizione. Passare da un regime economico ad un altro radicalmente diverso non è infatti un processo indolore. La transizione comporta la ridislocazione massiccia di risorse a favore di tecnologie e di imprese di settori considerati verdi ma, nel contempo, e nella stessa grande misura, sottrae le stesse risorse alle tecnologie e alle imprese, ai settori tradizionali, quelli a più elevata intensità di emissioni fossili.

E’ difficile che i mercati finanziari possano rimanere a lungo indifferenti di fronte a una prospettiva di shock sistemico di questa portata, e nella misura in cui i mercati finanziari sconteranno e anticiperanno il cambiamento, il valore delle attività verdi tenderà quindi a rivalutarsi progressivamente, forse anche a gonfiare nuove bolle speculative. Nel contempo, però, scenderà il valore delle attività non verdi, che sono però anche quelle che oggi principalmente sono detenute dagli intermediari finanziari e dagli operatori economici. Se i processi non sono ben governati, il valore degli investimenti tradizionali, cioè delle attività finanziarie ancora oggi prevalenti, potrebbero magari inaspettatamente anche crollare.

Per evitare un nuovo diluvio universale, cioè, è ormai necessaria una nuova rivoluzione industriale, e la finanza non sarà ai margini, ma al centro, dello sconvolgimento economico che si annuncia. E’ quindi giunto il momento per autorità di vigilanza, banche e risparmiatori, di non distrarsi, e di valutare con estrema attenzione le implicazioni di eventi che nei prossimi decenni segneranno inevitabilmente non solo le nostre vite, ma anche le nostre finanze.

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