Per Alitalia altri 600 milioni, il prestito ponte che garantirà i voli per i prossimi 6 mesi. L’estremo tentativo per tenere in vita l’ex compagnia di bandiera. In pratica un sistema di welfare parallelo. Ma è sostenibile il modello Alitalia?
Alberto Annicchiarico ha sentito il parere di Beniamino Piccone, docente LIUC – Università Cattaneo e blogger di Econopoly – Il Sole 24 Ore. Prende così il via Econotube, canale web video di Econopoly.
Econpoly è il blog de Il Sole 24 Ore che parla di economia, con fatti non alternativi, ma ben documentati. Numeri, idee, progetti per il futuro. Sul canale video i diversi blogger di Econopoly commenteranno i diversi fatti più importanti in ambito economico.
Alitalia è stata commissariata. Siamo in amministrazione controllata. Non si vuole dire che cosa abbia portato Alitalia al disastro, ma parlare del suo welfare.
Il modello di welfare italiano andava bene negli anni ’60. All’epoca c’era il miracolo economico, ed un’età dell’oro. Oggi non è ovviamente così. Abbiamo un sistema per un’economia statica.
Viceversa, siamo in un’economia dinamica. Bisogna tutelare il lavoratore non sul luogo di lavoro, ma nel mercato di lavoro. Dobbiamo avere i sussidi condizionati, non non condizionati come abbiamo avuto nel corso del passato (vari casse integrazioni e mobilità). Sostanzialmente abbiamo avuto un modello che si può chiamare di “pensionismo“. Il lavoratore deve andare il più possibile in pensione, e prima deve stare a casa a non fare nulla. Chiaramente, non va affatto bene. Bisogna cambiare.
Frank Underwood è un politico cinico e spregiudicato. In crisi, decide di lanciare un programma che si chiama “America Works”. In pratica, un Jobs Act all’americana, dal costo di 500 miliardi di dollari. Con la tipica franchezza americana, Underwood buca il “quarto schermo” e parla agli spettatori. E gli dice che devono aiutare chi veramente lavora. Quindi, non diritti, ma soprattutto doveri. Aiutare le persone che si danno da fare a cercare un lavoro.
Dovremmo imparare da Underwood a premiare coloro che si attivano, che cercano disperatamente un posto di lavoro. Coloro che credono in un’economia dinamica e non credono nel modello italiano. Un modello retrogrado, dove si viene assunti a 20 anni (magari!) e si finisce di lavorare a 55, andando in pensione.
Un libro di tempo fa si chiedeva perché la Puglia non fosse la California. Non lo è perché è illogico che un imprenditore assuma qualcuno a 18 anni e se lo tenga fino a 60. Non può intraprendere perché in un’economia dinamica non si possono garantire diritti in eterno.
Sempre sul modello di welfare, sono stati creati dei modelli specifici e non universali. Tito Boeri dell’INPS ha meritoriamente messo online un’area dove vengono evidenziate le storture del nostro sistema pensionistico (Porte Aperte). Sappiamo benissimo che chi è andato in pensione con il sistema retributivo prende una pensione non corrispondente ai contributi versati. Un pilota che è in pensione con 10.400 euro dovrebbe meritare, per i contributi versati, la metà. L’INPS ci dicve quindi che il 60% delle prestazioni per i piloti dovrebbero essere ridotte dal 30 al 50%.
I precari, i giovani, coloro che già sanno di avere in futuro una pensione molto bassa per una carriera “interrotta”, vedono ancora, quindi, persone con benefici straordinari. Questo crea delle tensioni sociali, della rabbia nel Paese, che non deve essere chiaramente suffragata.
Bisogna tornare ad un sistema con tutti che abbiano situazioni molto vicine un all’altra.
Assolutamente no. Il modello “dalla culla alla bara” ha segnato l’Europa del ‘900. Per mantenerlo, dobbiamo assolutamente essere rigorosi nella spesa. Altrimenti, le prossime generazioni non avranno tutto quello che hanno avuto i nostri genitori ed i nostri nonni. Quindi, rivedere dinamicamente le regole per garantire a tutti i diritti del futuro.
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