In questo video si parla del costo dei fondi comuni di investimento, riferendoci ad un analisi recentemente apparsa in un paper. Il titolo è “Il costo totale dell’investimento in fondi comuni”; è prodotto da 4 autori, Giorgio Albareto, Giuseppe Cappelletti, Andrea Cardillo, Luca Zucchelli, ed è stato pubblicato sul sito della Banca d’Italia (qui il link).
La tematica è molto interessante, soprattutto vista la presenza della nuova direttiva MIFID2. Quest’ultima, come ben noto, rende sempre più trasparente il costo totale dell’investimento in fondi all’investitore. Soprattutto, rende palese quanto questo costo incida sulla performance dell’investimento effettuato.
L’analisi è molto interessante, ed analizza il periodo che va dal 2006 al 2016.
Gli autori propongono una differenziazione, in termini di analisi dei costi; il TER (total expense ratio, un indicatore dei costi complessivi del fondo) in realtà sembra non comprenderli tutti. Viene così introdotto il TSC (total shareholder cost). Si tratta di un indicatore sintetico di costo che tiene in considerazione anche eventuali costi di ingresso e di uscita dai fondi. Comprende quindi anche le commissioni relative.
Queste ultime spesso vengono scontate dagli ex promotori finanziari, ma spesso vengono ancora applicate. Gli autori evidenziano come, nel corso degli anni, nel mercato italiano si siano sempre di più diffusi i fondi a scadenza, dove l’uscita anticipata da un fondo può portare a notevoli penali in termini di costi di uscita, appunto. Viene quindi analizzata la differenza tra il ben noto TER ed il TSC.
In tutti i casi, il TSC è superiore al TER, ovviamente. È interessante notare che, per i fondi azionari, il costo complessivo non è molto distante dal TER. Nel periodo di tempo preso in esame, inoltre, il costo complessivo di questi fondi rimane stabile, intorno al 2%.
È altresì interessante notare come, a partire dal 2011, vi sia un notevole scostamento tra TER e TSC nei fondi bilanciati. Il costo complessivo per l’investitore è notevolmente aumentato. In alcuni casi i costi di questo tipo di fondi sono analoghi agli azionari.
Per quanto concerne i fondi obbligazionari e di liquidità, una cosa balza subito all’occhio, cioè quanto i costi siano elevati a fronte delle performance attualmente realizzate da questo tipo di strumenti. Con molti strumenti governativi che ancora rendono sullo 0%, o sono ancora parzialmente negativi, costi fino all1,40% sono molto dannosi. Il rendimento, infatti, considerando il TSC, viene praticamente bruciato.
Per quanto concerne i fondi flessibili, che comprendono strumenti con strategie di gestione completamente differenti, come absolute return e liquid alternatives, gli autori evidenziano come questi abbiano un TSC ben oltre il 2%. Quindi, anche superiore ai fondi azionari.
Ci sono molti fondi che attuano strategie innovative di gestione che comportano costi anche significativi. Bisogna valutare bene se le prime possono mai giustificare i secondi. La risposta, sottintesa, è chiaramente un secco no.
Con l’introduzione della MIFID2, e gli attuali tassi di interesse molto bassi, le SGR stanno indubbiamente rivedendo il capitolo costi. Questo vale soprattutto per la macrocategoria obbligazionaria, dove i costi decisamente troppo elevati inficiano interamente il rendimento.
I costi evidenziati nel paper, chiaramente, sono anche la ragione per una diffusione sempre maggiore dei fondi passivi, come gli ETF, che costano chiaramente molto meno.
A livello di pricing, l’industria del risparmio gestito dovrà avere dei riaggiusta menti e dei ripensamenti.