Si legge tutti i giorni sui giornali che dobbiamo costruirci una pensione integrativa, specialmente i giovani.
Una pensione integrativa, come dice il termine, è una pensione che deve integrarsi a quella principale. Facciamo chiarezza.
Fino a qualche anno fa non si parlava di pensione integrativa. I nostri genitori, ad esempio, hanno versato per una vita i contributi all’INPS, e da quando sono in pensione ricevono la pensione dall’INPS. Facile no?
L’hanno versata all’INPS perché erano dipendenti. Se fossero stati professionisti l’avrebbero ricevuta dalla cassa di previdenza di categoria, come ad esempio accade per ingegneri, avvocati, eccetera…
I nostri genitori non hanno avuto il problema di dover integrare la loro pensione, hanno versato all’INPS e incassano dall’INPS; ma allora i giovani devono crearsi una pensione integrativa?
Semplicemente perché la pensione dell’INPS sta via via riducendosi sempre più, per via di varie riforme al sistema previdenziale. Si stanno riducendo a tal punto da costringere le nuove generazioni a doversi munire di una nuova pensione aggiuntiva, chiamata integrativa. Una pensione integrativa si va quindi a sommare a quella dell’Inps dal momento che questa risulta insufficiente.
La vera domanda che ci si deve porre una volta capito questo concetto è: a quanto ammonta la pensione garantita dall’INPS o dalla nostra cassa? E poi: ma quanta pensione devo integrare per poter mantenere inalterato il mio tenore di vita?
Per capirlo, bisogna innanzitutto sapere a quanto ammonta la pensione principale, chiamata anche primo pilastro della previdenza. Esistono vari strumenti, anche gratuiti, che possono fornire questa informazione: ad esempio il sito dell’Inps, oppure della nostra cassa qualora si sia un professionista. Esistono anche simulatori pensionistici, come quello che si può trovare sul sito di Repubblica.
Calcolarlo è molto semplice. Ad esempio, se si guadagna €100.000 all’anno come ultimo stipendio, e la simulazione stima un tasso di sostituzione del 70%, significa che il mio reddito una volta che sarà in pensione sarà pari a €70.000, cioè il 70% di 100.000. Torna il concetto di integrazione, perché il reddito di pensione non è uguale a reddito da lavoro.
C’è un gap, una differenza che potresti aver sentito chiamare anche appunto gap previdenziale.
Quindi, se si è uno spendaccione e si spendono tutti i €100.000 all’anno del reddito, quando si andrà in pensione e si riceverà una pensione di €70.000 all’anno, si dovrà abbassare il tenore di vita, perché con il solo reddito non si potranno coprire tutte le spese. Ecco, questo è chiaramente un esempio semplificato e con un reddito molto elevato.
Se con la pensione non si riesce ad affrontare le spese future, allora bisogna integrare: bisogna risparmiare, investire i risparmi e utilizzare questo patrimonio per compensare quello che prima si è chiamato gap previdenziale, cioè la differenza tra il reddito da lavoro e il reddito in pensione.
Gli strumenti per integrare la pensione sono chiamati il secondo e terzo pilastro. Il secondo pilastro consiste nell’investire il proprio TFR, ad esempio in un fondo pensione; il terzo Pilastro consiste nel crearsi un portafoglio di investimento, ad esempio composto da azioni, obbligazioni, fondi, eccetera.
Se invece si è avuta una vita lavorativa più complessa, perché ad esempio si ha una partita IVA, oppure si è passati da dipendente ad autonomo, o magari per qualche anno non si sono versati i contributi, allora è necessario fare un’analisi più accurata con strumenti diversi; la consulenza finanziaria indipendente può aiutarti. Una volta chiarito il tasso di sostituzione bisogna iniziare a risparmiare e versare nel terzo Pilastro.
Per poter prendere una decisione con consapevolezza bisogna approfondire, studiare la materia, oppure farsi aiutare da un esperto.
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