Il bilancio di fine anno delle banche, tra crisi, fallimenti e sofferenze. Ennesimo annus horribilis per il settore bancario. E’ difficile mantenere il ruolo di finanziatori del sistema e rispondere alle nuove richieste della Vigilanza Europea. Ospite Stefano Caselli, Prorettore Università Bocconi Milano.
In un Paese ad alto rischio sismico, anche le banche continuano a scricchiolare. E’ il 22 novembre 2015 quando il fallimento di Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara segna l’inizio di un terremoto profondo destinato a sconvolgere un sistema secolare.
Vittime della scarsa redditività, e soprattutto schiacciate dal peso di crediti deteriorati, il fallimento dei 4 istituti coinvolge oltre 1000 piccoli risparmiatori. Due anni dopo, le scosse continuano, e la lista degli istituti in difficoltà cresce . Con nuovi nomi spesso illustri, come la Popolare di Vicenza, Veneto banca e Monte dei Paschi di Siena.
Il copione è sempre lo stesso. Gestioni dissennate e crisi portano credito e sofferenza alle stelle. Ciò dà il via ad estremi tentativi di salvataggio con ricapitalizzazioni impossibili fino ad arrivare all’intervento pubblico. E’ il caso di MPS, salvata a fine dicembre 2016, e delle due banche venete, mandate in liquidazione ordinata. Salvate da Intesa SanPaolo, che ha acquisito per 1 euro due milioni di clienti. I debiti, però, sono stati coperti dallo Stato con un finanziamento di 5,2 miliardi di euro, e che potrebbe arrivare fino a 17 miliardi.
Oggi è il turno del Creval, alle prese con una ricapitalizzazione di circa 700 milioni, e di Carige, che di milioni ne necessita disperatamente 560. Il tutto da chiudere in accordo con la BCE entro il 31 dicembre.
E’ successo un po’ di tutto. Se vogliamo vedere il lato positivo della cosa, è quasi finita. Auguriamoci che dopo gli ultimi due casi, i riflettori si spengano per un po’.
C’è da dire che c’è stata anche tanta sfortuna, un concatenarsi di eventi sfavorevoli. A partire dai bassissimi interessi sui tassi, che non aiutano il sistema. Ancora troppi sportelli, poi, e quindi troppi costi. In molti casi, troppi, cattiva gestione. La combinazione di questi fattori è stata micidiale.
Sicuramente sì, ma non possiamo dargli tutta la colpa. Di queste vicende dobbiamo ricordarci due brutte cose:
Sì, sicuramente. Quando un sistema viene così segnato, chi partecipa se lo ricorda. I risparmiatori italiani non sono più innamorati delle banche. Sarà molto lungo riconquistarli.
Però non generalizziamo. Non si deve buttare via tutto. Ci sono anche molti casi virtuosi. Non è giusto marchiare l’intero sistema.
Prima lo spread, ora i crediti deteriorati. In questi ultimi anni, ci siamo dovuti abituare a termini sempre più tecnici. Ma se dello spread ormai abbiamo dimenticato tutto, dei crediti deteriorati e dei loro effetti sui bilanci delle banche c’è ancora molto da sapere. Di cosa si tratta? Sono i soldi che le banche hanno prestato a famiglie ed imprese e che, per vari motivi, non tornano più indietro. Il credito è un affare a rischio, vista l’impossibilità di determinare sin da tutto tutte l’effettiva restituzione del debito contratto.
La somma è spaventosamente grande. Il culmine si è raggiunto a fine 2015, con 360 miliardi di NPL (la sigla inglese che li contraddistingue). Questi sono il 18,1% dei crediti complessivi. Fa impressione, parecchio. Soprattutto pensando che nel 2008 era di soli 85 miliardi.
Oggi siamo sotto i 300 miliardi, ma il lieve trend in discesa non convince. E l’Italia è ancora sotto i riflettori della vigilanza europea. E sembra che quest’ultima non voglia più concedere molte deroghe ad un problema che è eminentemente italiano.
La definizione è corretta. Gli NPL generano un problema al conto economico della banca, ed al bilancio. CI sono però due facce. Da un lato, se ci sono NPL significa che le banche hanno fatto il loro lavoro, hanno finanziato il sistema: E per l’85% lo fanno loro. Dall’altro, nel farlo, i prestiti possono andare bene o male. Nel secondo caso, o va male l’azienda, od il prestito è stato concesso troppo leggermente.
E’ difficile dire con certezza cosa sia accaduto. La certezza sta nel fatto che le banche devono risolvere questi problemi. Per questo sono sotto osservazione.
E’ impossibile tornare indietro. La banca è centrale del sistema economico, ma non è più esclusiva. Non più. Le imprese dovranno imparare a rivolgersi ai mercati. E le banche dovranno aiutarle a farlo.
Certamente. Difficile dire se le banche non hanno aiutato le imprese, o viceversa. L’importante è cambiare, ed in meglio. Probabilmente la colpa è di tutte e due.
La prima mossa spetta alla banche. Devono aiutare le imprese a capire che esistono altre modalità di finanziamento; che rivolgersi al mercato non è né terribile, né destabilizzante. E’ una partita di carattere educativo. Poi toccherà alle imprese, che dovranno fare il loro dovere. Aprire il modello proprietario; avere maggiore trasparenza; raccontare al mercato i propri progetti.
Sì, Ma i mercati non comprano sogni, ma progetti seri. I mercati sono un giudice molto più severo rispetto alle banche. Queste ultime coprivano anche i difetti delle aziende; i mercati non lo fanno, anzi. Sono uno stimolo a far meglio, e possono essere molto più generosi della banca, se il progetto è convincente. Le risorse possono essere molto maggiori e, se l’impresa fa bene il suo lavoro, cresce molto di più, con vantaggi per tutti.
E’ un buon inizio. vanno sostenuti. E’ un idea pragmatica, di successo. Ma hanno bisogno della materia prima, delle aziende. Auguriamoci che ci siano sempre più aziende che si quotano. Le molte aziende quotate quest’anno sono un buon segnale. Quotarsi è molto più facile di prima. Il sistema Borsa ha fatto tutto quello che poteva e doveva. Ora tocca alle imprese, con l’aiuto delle banche.
Non sarebbe male. L’incentivo è sempre benvoluto. Consente all’impresa di superare meglio la quotazione. Ma anche senza, la quotazione porta solo vantaggi. E questi sono che non si perde il controllo dell’azienda, quotando la minoranza delle azioni. Poi, la capacità di controllo dipende dai progetti e dalla leadership dell’imprenditore. Il vero cambiamento è che bisogna confrontarsi con gente nuova e con gli investitori. Ma, facendolo, si cresce.
Il principale vantaggio è che se un’azienda si quota e sa raccontare la propria storia al mercato, raccoglie risorse. E ne raccogli pari a come saprà essere convincente. E non hanno costi.
Speriamo di sì. Soprattutto che non si parli più delle banche italiane per i loro problemi.
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