Massimo Guerrieri spiega perché l’investimento in fondi comuni nella maggioranza dei casi è inefficiente, purtroppo per il risparmiatore medio.
L’articolo del Sole 24 Ore del 20 aprile mette in risalto quello che noi diciamo da tempo, ovvero che i fondi comuni che normalmente vengono collocati dagli istituti di credito sono fondi comuni che per lo più sono obsoleti. Vediamo come nel 2018, questa è la denuncia fatta da questo articolo del Sole 24 Ore, tutti i fondi comuni hanno avuto segni meno meno. Il 95 per cento di fondi comuni ha avuto un segno meno; mi riferisco ai fondi comuni a gestione attiva, cioè che dovrebbero attivamente, appunto, scongiurare i meno. Se andiamo anche nello specifico, prendendo proprio come riferimento questo articolo del Sole 24 ore del 20 aprile, solo il 24 per cento ha battuto il proprio indice di riferimento, il proprio benchmark, e tutti gli altri hanno fatto peggio. Noi queste cose le denunciamo da tempo, che spesso e volentieri questi fondi, che dovrebbero essere di gestione attiva, in realtà prendono tante commissioni, ma si comportano come fondi a gestione passiva,
Principalmente perché è molto più facile, laddove non c’è un controllo, far fare il lavoro, tra virgolette, ad algoritmi, che non fanno altro, e questo lo notiamo quando andiamo ad analizzare, cioè a metterci le mani dentro, che replicare pari pari il benchmark a cui poi dovremo andare (benchmark è un indice di riferimento a cui il fondo dice di fare riferimento, e che dovrebbe essere battuto appunto con la gestione attiva), viene replicato, cioè vengono comprati quei titoli di questo benchmark, tolte le commissioni e tolte ovviamente le inefficienze date dalla compravendita per replicare questo indice, ci ritroviamo puntualmente ad avere dei fondi che sottoperformano in base al loro indice di riferimento.
Anche qui vediamo come nell’ultimo anno quasi tutti i titoli azionari delle grandi società di gestione, prendiamo riferimento all’America, che è il mercato più grande al mondo, a fronte di un s&p500, ricordiamolo, è l’indice di riferimento americano, sono le 500 aziende più capitalizzate al mondo, possiamo dire dall’8 marzo del 2018 all 8 marzo 2019 l’s&p500 è stato più o meno in parità, cioè ha avuto un rendimento di più 0,8 per cento. I titoli azionari comprati dalle case di gestione hanno avuto performance che vanno da meno 20 a meno 60 per cento.
Diciamo che nei paesi anglosassoni, ma ormai sono 10-15 anni che questi fondi innovativi, si chiamano etf, etc, più genericamente etp, exchange traded product o etf, exchange trade fund, sono fondi innovativi che hanno commissioni molto basse e replicano puntualmente l’indice di riferimento, e si può spaziare dalle valute ai fondi azionari agli indici obbligazionari e alle materie prime. In Italia purtroppo vengono utilizzati pochissimo proprio perché non vengono, fra virgolette, presentati, offerti agli investitori, principalmente perché costando poco hanno pochi margini di guadagno per gli istituti di credito. La tendenza appunto nei mercati più evoluti è di usarli non solo perché danno, tra virgolette, una replica esatta di dove io voglio andare a investire, ma come un qualsiasi titolo io con un click posso comprare e vendere all’istante, quindi uscire o entrare in un mercato sapendo il prezzo a cui rientro ed il prezzo in cui esco. Tra l’altro in alcuni casi, mi riferisco in particolar modo agli etc, possono anche essere usati per sfruttare il beneficio fiscale, cioè se io ho delle minusvalenze riesco a recuperare, mentre con i fondi comuni tradizionali questo non è possibile.
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