I BOT non sono più sinonimo di rendimento, sicurezza né di fiscalità agevolata. Oggi anche lo Stato guarda oltre. Serve emanciparsi dalla diseducazione finanziaria dei titoli di Stato per gestire correttamente denaro e investimenti. In studio Enrico Maria Cervellati, docente di Finanza presso Università Cà Foscari di Venezia.
Italiani promossi nella teoria, ma bocciati nella pratica.Le ultime indagini sulle abitudini alimentari nel nostro Perse dicono che in tanti si dicono attenti a consumare pasti equilibrati, ma sono ancora pochi a farlo davvero. Anche in finanza, come a tavola, si sprecano i buoni propositi.Quando si tratta di metterli in pratica, la musica cambia.
Che le esigenze di lungo periodo richiedano la maggior parte delle nostre risorse lo sappiamo. Basta pensare all’impegno necessario all’acquisto di una nuova casa; alla necessità di mantenere invariato nel tempo il nostro tenore di vita; all’istruzione dei figli. Eppure gli sforzi messi in campo per centrarli non risultano sempre adeguati.
Il grado di attenzione a profili di investimento di medio-lungo periodo è ancora troppo basso. Risultano sproporzionate le soluzioni adottate per rispondere alle esigenze quotidiane. Sarà che siamo ancorati ad un recente passato, dove la pensione era una garanzia, ed il tasso di disoccupazione giovanile era lontano dall’attuale 40%. Sarà che non è sempre facile riuscire da soli a focalizzare obiettivi che non siano di brevissimo termine; o che i tassi sono a zero, e la volatilità dei mercati è una variabile che ancora spaventa. Fatto sta che c’è una montagna di liquidità parcheggiata sui conti correnti.
Sarà questo il modo più coerente di rispondere alle nostre necessità di risparmio?
Una pirmaide ci dice come dovremmo mangiare; l’altra, rovesciata, ci dice come lo facciamo (male). In finanza, come già detto, facciamo, ahimè, la stessa cosa. Molte risorse dovrebbero essere dedicate alle esigenze più importanti, quelle di medio-lungo periodo. Purtroppo si fa esattamente l’opposto.
Assolutamente no. Il problema è quello appena delineato: focalizzazione sul breve periodo: miopia, mancata comprensione di ciò che sta accadendo.
In parte sì; in parte non è il vero problema. L’importante è insegnare alle persone ad avere i giusti comportamenti quando si investe. Poi bisogna affidarsi ai professionisti, ai consulenti finanziari. Ad ognuno il proprio lavoro.
Ce ne sono tanto. Ed è meglio parlare di investitore che di risparmiatore. Siamo un popolo di risparmiatori (vero); meglio sarebbe essere un popolo di investitori. Bisogna risparmiare. ma bisogna, soprattutto, investire. Investire da subito… ma anche dopo. Non c’è un’età sbagliata per investire. Bisogna imparare a pianificare per il futuro. Ad ogni età.
Bisogna augurarsi che il fai da te scompaia definitivamente, innanzitutto. La finanza comportamentale dimostra che le decisioni giuste non possono essere prese da tutti, tantomeno da qualcuno che si improvvisa conoscitore della finanza.
Serve un professionista. Per due motivi. Il primo è tecnico: sa come gestire un portafoglio. il secondo è comportamentale: sa gestire i tipici errori in cui incappa l’investitore medio. Il vero consulente parla meno dei soldi rispetto a quanto non ci parli di noi stessi. E deve far capire le buone abitudini da tenere quando si investe.
Come si impara a gestire denaro ed investimenti? Sicuramente economia e finanza, terminologie e strategie è fondamentale. Così come lo è affidarsi ad un consulente finanziario con la C maiuscola. Altra strada è l’esperienza sul campo, lo insegna la vita. Molto spesso è solo provando, sbagliando, correggendo e riprovando che si imparano a dominare esigenze e contingenze.
E’ altrettanto certo che sperimentare con i propri risparmi non è più consigliabile. Non viviamo più in quel mondo in cui si poteva investire in prodotti dalla rendita sicura (BOT). Si può sempre provare ad imparare come comportarsi attraverso una bella partita a Monopoli, però.
Il Monopoli, a ben vedere, è il gioco della vita. Ed è un’ottima lezione di buon senso. Si impara ad acquistare il prodotto giusto in base alle proprie capacità finanziarie. Si attuano strategie scegliendo il tris di vie da far proprio. E si investe comprando prima una casa, poi due, poi tre, infine costruendo un albergo che possa far vincere la partita, ovvero vincere nella vita. E poi ci sono gli imprevisti da gestire. Multe, sanzioni, ristrutturazioni. Si impara a ragionare anche a medio, lungo termine; con lo scopo di non essere impreparati nel momento del bisogno.
Il monopoli contiene tutti gli elementi di successo e di fallimento del mondo del risparmio.
Monopoli e Risiko (in inglese Risk), ci abituavano a temi centrali nel risparmi. Il secondo ci abituava, appunto, al rischio, ed alla strategia. Il monopoli insegnava la vita reale. Le strategie valgono, ma ci sono gli imprevisti e le probabilità. Ed insegnava a pianificare ed accumulare.
La strategia migliore era spendere tutti i soldi subito. Questo ci faceva comprare case che garantivano una rendita ed altre case ad ogni giro. In pratica, era un piano di accumulo automatico ad ogni giro, che ci dava maggiori risorse. Chi faceva l’opposto, risparmiava all’inizio per poi investire dopo, sbagliava. Come chi oggi tiene i soldi sui conti correnti.
Bisogna cambiare i comportamenti delle persone. E non è facile. Ci si scontra con le abitudini. Quindi, vanno cambiate la abitudini. E cosa succede quando non si investe. Se non si investe, si perde. Sicuro. E cosa. almeno il tasso di inflazione ogni anno, che le remunerazioni sui conti correnti non possono coprire. In una generazione, una qualsivoglia somma si trova svalutata delle metà, in questo modo.
Con buone abitudini si può accumulare. Bisogna far lavorare la testa (studiare), ma anche far lavorare i soldi (investire), perché lo fanno anche mentre si dorme.
Un tempo i BOT fornivano (od almeno si diceva): rendimento; sicurezza; fiscalità agevolata; possibilità di facile smobilizzo; costi contenutissimi; stabilità e mancanza di oscillazione; facilità di sottoscrizione; erano la medicina per tutte le malattie; nessuna necessità di percorrere strade alternative o paralleli (consulenza); nessuna necessità di affidarsi a qualcuno e ricevere indicazioni fuorvianti. Difficile fare meglio…
Oggi, molti di questi elementi, non ci sono più nei titoli di stato, a cominciare dai rendimenti. Anche la sicurezza è un vago ricordo (vedi crisi recenti e recentissime). Ed anche il valore oscilla tantissimo, durante la durata del prodotto. Se vdevo vendere durante la medesima, le perdite possono essere rilevanti.
Le tasse sugli investimenti andrebbero capovolte: 26% sui titoli di stato, 12,5% sugli azionari. In parte è quello che è successo sui PIR, col vantaggio fiscale che ha attirato molti investitori. Ed anche di investire direttamente nel nostro paese, nelle sue aziende quotate in Borsa.
Si spera proprio di sì. Al di là del vantaggio fiscale, il nodo centrale è ciò che si può fare per il sistema-Paese.
Senza la leva fiscale, però, è probabilmente difficile che ci fosse questo interesse. Ci vogliono anche aziende di qualità. PMI che si andranno a quotare, sempre di più.
La composizione stessa dell’indice e del mercato ne gioverà. Attualmente è molto sbilanciata su finanza ed energia. Investendo in PMI avremo, di base, una maggiore diversificazione.