Consulenza e futuro. Chi ha paura del consulente artificiale? | Anima SGR

A cura di Mario Noera, Docente di economia degli intermediari finanziari presso l’Università Bocconi di Milano. L’intelligenza artificiale può davvero sostituire la consulenza umana, nel futuro?

L’intelligenza artificiale è già qui?

Poco tempo fa una rivista ha riportato la storia di Sofia. Sofia è un robot, con la faccia di una bella ragazza, capace di imitare in 65 modi diversi la gestualità umana. Sofia è anche, oggi, l’espressione pratica della più avanzata ricerca in ambito di intelligenza artificiale. Può parlare, rispondere, memorizzare. Può persino formulare domande in autonomia.

La possibilità di interagire con macchine intelligenti è quindi già parte della nostra esperienza quotidiana. Anche gli smartphone hanno degli assistenti vocali con cui poter interagire con linguaggio naturale, e dettare istruzioni. Anche le banche, con le loro app, non propongono più solo assistenti vocali, ma anche immagini virtuali, che ci sorridono quando “si entra”.

La risposta umana

Il dominio dell’IA sembrerebbe quindi davvero alle porte. Tuttavia stanno aumentando vertiginosamente anche gli interessi per quelle discipline che esplorano le potenzialità della mente umana. Gli articoli sulla meditazione sono aumentati di ben 16 volte nell’ultimo decennio. Non riguardano più solo terapie ma, anzi, sempre più spesso applicazioni per migliorare la qualità delle relazioni professionali.

Allo sviluppo dei robot si risponde quindi cercando di sviluppare facoltà umane non riproducibili dalle macchine. Lo sviluppo delle neuroscienze consente oggi di mappare con precisione le varie aree e funzioni cerebrali; questo porta a poter allenare il cervello come si fa in palestra con i muscoli.

I limiti delle macchine

Medici, avvocati e consulenti finanziari non verranno quindi sostituiti dai robot. Inevitabilmente, però, il loro ruolo è destinato a cambiare. Saranno sostituibili le loro competenze tecniche, ma non le capacità empatiche e relazionali. McKinsey ha stimato che, nel prossimo futuro, tra il 60 e l’80% dei lavori ripetitivi potrà essere sostituito dalle macchine. Ma ha anche evidenziato che le professioni più difficili da automatizzare sono quelle con elevati livelli di immaginazione, analisi creativa e di pensiero strategico. Le macchine, come sappiamo, possono elaborare dati in maniera infinitamente più veloce di un essere umano; ma non saranno in grado di interpretare le emozioni, né di formulare pensieri ipotetici.

Lo scienziato americano Davidson ha scoperto che le basi biochimiche di intuito e capacità relazionale non sono emulabili dalla macchina. Questo perché non sono governati dai circuiti razionali del cervello, ma da quelli emotivi. Una macchina intelligente può quindi produrre una risposta anche senza capire il significato di una domanda; ma se la domanda deve essere interpretata, la macchina non è in grado di modulare la giusta risposta.

Nelle relazioni umane ci sono 250 modi di porsi, di mimica del corpo e tono della voce, e 44 muscoli involontari del nostro viso. Le risposte vengono percepite dall’interlocutore istantaneamente. Lo fa attraverso quella parte del cervello connessa alle attività sensoriali (vista udito, ecc.).

L’empatia e la consulenza

Quanto appena descritto si definisce con una parola: empatia. Ed è ciò che caratterizza, da sempre, la consulenza. Si va dal medico o dal consulente finanziario per essere ascoltati, rassicurati, capiti e guidati, e non solo per avere informazioni.

Tra pochi anni potremo fare un check-up completo di salute o finanze con lo smartphone. Difficilmente avremo un robot in giacca e cravatta come medico o consulente finanziario. Come ricordava Alan Turing, padre della cibernetica, i computer possono mostrare competenza sui dati, ma non anche comprensione delle persone.

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