L’apertura dei salvataggi di credito ha salvato l’economia cinese dopo la crisi finanziaria globale, ma può il governo allontanare il paese dalla sua dipendenza del debito? La Cina dopo la crisi di 10 anni fa spiegata dal Financial Times.
Una delle conseguenze della crisi finanziaria, in Cina, è stata che l’economia cinese, dipendente da manifattura ed esportazioni, è crollata. Ed il Partito Comunista, che governa incontrastato, si è panicato.
I leader del Partito hanno stimato di aver bisogno di una crescita minima annua dell’8%. Questo per minimizzare od annullare le proteste politiche ed eventuali sommosse sociali.
La soluzione è stata di scatenare quella che gli economisti hanno definito “la più grande manovra di facilitazione monetaria della storia”. Una enorme quantità di prestiti facili, canalizzati attraverso le banche possedute e controllate dal governo, è stata emessa.
In termini assoluti, il debito cinese è schizzato dai 6 trilioni di dollari di prima della crisi a circa 28 trilioni di dollari alla fine dello scorso anno. Come percentuale del debito sul PIL, la percentuale è aumentata dal 140% di prima della crisi al circa 260% di adesso.
Non ci sono problemi ad ammettere che l’economia cinese è stata salvata, nel breve termine, con quest’operazione. Questo, però, ha creato un’economia ormai drogata dai prestiti, ed afflitta da numerose bolle di asset.
Il test finale si avrà quando Pechino deciderà di allontanare la nazione dalla dipendenza dell’assistenza statale.
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