Banche centrali. Siamo nelle loro mani | Monitor Risparmio

Intervista a Massimo Saitta, responsabile investimenti di Intermonte. Le banche centrali saranno protagoniste in autunno. BCE, BoE e FED sono infatti attese ad importanti decisioni.

Draghi ha detto che i tassi resteranno bassi ancora a lungo; non ha però chiarito quando comincerà a ridurre gli acquisti. Cosa ci si può aspettare dalle banche centrali?

Non ci sono state ancora azioni nette perché non si è ancora raggiunto il target ultimo dell’azione del QE. Tale target è il 2% di inflazione. Il QE dovrebbe quindi continuare fino a raggiungere quest’obiettivo, sinora sfuggente per varie ragioni (demografia, tecnologia).

Si è aperto quindi un dibattito all’interno della BCE tra i favorevoli alla cessazione del QE, e chi intende continuare per raggiungere quanto appena detto. Il QE mostra anche qualche effetto negativo, va detto; in particolare per le banche, che faticano a fare lending con i tassi così bassi.

Draghi potrebbe proporre un QE allungato ancora di 6 mesi, fino ad una scadenza probabile a metà 2018. E sicuramente sarebbe su scala ridotta, da 60 a 40 miliardi/mese.

Per il rialzo dei tassi dovremo quindi attendere il 2019, con una BCE in mani tedesche?

Politicamente parlando, potrebbe  essere così. Dal punto di vista economico, è ingiustificato rialzare i tassi adesso, con l’inflazione così. La variabile salariale, ben correlata al PIL, ancora non dà significativi segni di vita, e non risveglia l’inflazione. Stando così le cose, anche nel medio periodo dovrebbe essere così.

C’è il rischio che l’inflazione sia davvero morta, come dice il Financial Times?

Se il QE è (ed è stato) un territorio inesplorato, altrettanto lo è l’uscita da esso. Le metriche tradizionali per giudicare i cicli economici stanno mutando; le metriche macro sembrano essere non più valide. Questo è dovuto ai grossi cambiamenti produttivi globali ed alla globalizzazione stessa.

I PIR sono partiti in sordina, ma poi hanno avuto un rapidissimo sviluppo. Cosa ci si può ancora attendere?

All’inizio i PIR sono stati oggetto di un notevole frontrunning, ovverosia un portarsi avanti, acquistando l’asset sottostante al prodotto. Naturalmente, lo scopo era speculare sull’evento. La vera e propria raccolta ha poi sopravanzato tutte le aspettative, anche in estate. Le stime di 16 miliardi di raccolta in 5 anni verranno battute, e molto significativamente.

Il prodotto è perfetto per l’investitore retail italiano. Inoltre, molti attori che sono rimasti fuori nella prima parte della raccolta, per varie ragioni, si stanno ora affacciando ad essa. Il tutto potrebbe portare a più di 10 miliardi di raccolta già in tutto il 2017.

Mid e small cap potrebbero essere in bolla, anche in relazione ai PIR?

Si può dire di no. Hanno multipli superiori, pagando un premio rispetto alla big cap di circa il 28%. Per quanto concerne la differenza tra stime di crescita, ed andamento dei titoli in Borsa, qualche mid cap ha visto qualche revisione al ribasso degli utili.

Per il 2017, le eventuali revisioni di stima sono legate al dollaro, elemento macro del periodo estivo con la sua debolezza.

Il cambio euro-dollaro potrebbe quindi ancora penalizzare gli esportatori nel 2018?

Gli uragani recentemente abbattutisi sugli USA hanno avuto un paradossale effetto positivo. Per poter gestire i fondi destinati alle emergenze, l’amministrazione Trump ha cercato e trovato un compromesso per innalzare il tetto del debito. Questo fatto ha chiaramente rafforzato il dollaro ed il presidente. Visto che il biglietto verde è molto correlato con l’indice di apprezzamento dei presidenti USA, ci si può attendere una risalita di entrambi. Il valore del dollaro può quindi tornare in area 1,15 nelle prossime settimane.

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