PIR. Lo strumento che sta cambiando l’Italia? | Mercati che fare

Il 2017 è un anno di forte ripresa della fiducia anche grazie le ottime raccolte dei PIR, il ponte che unisce Risparmio e Impresa. In Italia sono poche le aziende quotate in borsa, gli imprenditori temono i costi da sostenere. In studio, Marco Giorgino, Professore Ordinario di Finanza Aziendale e di Global Risk Management del Politecnico di Milano.

“PMI. Adesso pensano positivo”, titola un giornale. Ma perché in Italia non si pensava positivo?

Nel 2017  si segnalano casi di forte recupero; finalmente ci sono dei segni “più” sui tassi di crescita. Per molti anni la situazione non è stata questa: Europa ed Italia, in modo particolare, hanno sofferto molto. Soltanto oggi stiamo tornando ai numeri pre-crisi.

Si è perso moltissimo per strada, in termini assoluti. Molte imprese, oggi, e l’economia in generale, stanno però ripartendo. I risultati trimestrali dei 2017 mostrano un’accelerazione nel recupero in corso. C’è quindi una ripresa della fiducia ed un recupero degli investimenti. Molti segnali macroeconomici supportano un maggiore ottimismo rispetto agli anni che ci aspettano.

In questo ha sicuramente giocato una politica monetaria importante ed aggressiva. L’enorme liquidità disponibile, anche se faceva fatica a fluire dalle banche alle imprese, rappresentava comunque un potenziale interessante. A ciò si è accompagnato anche un incentivo alla domanda di stimolo di capitali. La convergenza di domanda ed offerta di capitali hanno rappresentato un humus favorevole per il recupero dell’economia.

I PIR rappresentano certamente il più importante stimolo di capitale. I numeri del momento dei PIR sono straordinari, visto anche in quanto poco tempo si sono generati.

Introdotti dalla legge di bilancio 2017,  i PIR in soli 10 mesi sono cresciti in notorietà e gradimento superando abbondantemente le prime stime del Governo. Ad un mese dal lancio, Assogestioni parlava di una potenziale raccolta annua di 2 miliardi di euro. Già in primavera i PIR sembravano avviati verso obiettivi ben più ambiziosi. Nel mese di giugno i principali player erano vicini ad 1 miliardo di raccolta, e le stime proiettavano una raccolta per l’anno di 6 miliardi. Oggi l’ottimismo delle previsioni è stato superato dalla realtà dei fatti. Dati Assogestioni e Morningstar dicono che il patrimonio dei fondi PIR-compliant ha già toccato gli 8 miliardi. Nel mirino ci sono i 10 miliardi entro il mese di dicembre.

Sale ancora l’asticella se ci proiettiamo nei 5 anni. Da un potenziale possibile apporto di liquidità di 18 miliardi, l’aspettativa oggi è di quasi 70 miliardi. A moltiplicarsi sono anche le proposte della aziende che operano nel settore del risparmio. Una pioggia di offerte che ha portato ad 80 prodotti oggi presenti sul mercato.

Una lingua ormai sempre più condivisa e diffusa. Case d’investimento, compagnie di assicurazioni, banche, ETF, tutti parlano di PIR. E dal 2018 la normativa punta anche al settore immobiliare.

Una vera rivoluzione. Se i 70 miliardi rispetto alla attuale capitalizzazione di Borsa fossero confermati, sarebbero più del 10 della medesima. Una vera e propria ventata di aria nuova sui mercati…

I PIR sono stati introdotti recentemente in Italia, ma non sono una novità per i mercati finanziari. In altri Paesi strumenti simili od identici sono già stati introdotti, ed hanno rappresentato un importante punto di incontro tra risparmio ed economia reale. In Italia questo collegamento è sempre stato effettuato dalle banche; le imprese sono fortemente dipendenti dal debito bancario.

L’opportunità dei PIR rappresenta la possibilità di un collegamento più diretto. Le imprese possono rafforzare la propria struttura finanziaria attraverso l’accesso a queste risorse. I risparmiatori hanno un’importante occasione di diversificazione. Vero che 70 miliardi sulla capitalizzazione di Borsa sono parecchi, ma sul risparmio degli italiani sono solo una frazione insignificante. 4300 miliardi di risparmio hanno gli italiani, di cui 1300 ancora su costosi conti correnti. Quindi 70 miliardi sono davvero poca cosa.

Non dobbiamo neanche spaventarci che i PIR crescano troppo; nell’ambito di un portafoglio diversificato, essi rappresentano ancora una quota molto marginale.

Cosa dire a chi crede che, con poche aziende quotate in Borsa, se arrivano tanti soldi si rischi l’effetto bolla?

Non bisogna sottovalutare la cosa. E’ vero che i PIR hanno raccolto molto, e che ci sono “poche” aziende quotate. E’ anche vero che circa 100 su 320 sono inferiori ai 50 milioni di capitalizzazione. Ci sono quindi margini per la distribuzione della ricchezza.

Ci sono 50.000 aziende che potrebbero quotarsi in Borsa, è ovvio che non lo faranno tutte anzi, ben poche, ma il numero è certamente destinato ad aumentare.

Il PIR, ovviamente, oltre che a diversificare, genererà rendimento, ma certamente non lo farà nel breve termine. La struttura del prodotto è chiaramente orientata al lungo termine. E comprando in più tranche si riducono i rischi di comprare nel momento sbagliato. Il risultato va misurato nel corso degli anni, anche per godere dell’incentivo fiscale che si accompagna a questi strumenti.

Bisogna anche stimolare nelle imprese una domanda di capitali che non sia più solo quella bancaria.

Il numero delle quotate del 2017 (29) dà un segnale diverso? Si può diventare come la Gran Bretagna od il Giappone, dove questi strumenti hanno portato molte aziende a quotarsi?

Con lo specchietto retrovisore, siamo rassegnati a vedere poche aziende in Borsa. Ma questo è un errore. E poi bisogna considerare che, per quanto importate il concetto di quotarsi, le risorse dei PIR non sono destinate solo a questo. Per esempio, c’è tutto l’universo delle emissioni obbligazionarie, cioè la raccolta stabile di capitale per le imprese.

Come detto, dobbiamo lavorare anche sulla cultura delle imprese, ed anche dell’imprenditore. La Borsa non è per pochi, anche se non è per tutti. Oggi, però, c’è la reale possibilità di soluzioni finanziarie più coerenti con le necessitò di sviluppo delle imprese.

Un debito bancario a breve con prospettive a lungo termine è davvero un errore molto rilevante, ma comune, in Italia. Diversificare come si ottiene la liquidità giova alle imprese. La banca servirà per un debito a breve per finanziare il circolante; ci sono risorse di debito e di equity per il lungo termine e per una maggiore indipendenza finanziaria.

Perché molte imprese, in Italia, sono rimaste lontane dal mercato del capitale aperto?

Le aziende italiane quotate in Borsa sono molte meno rispetto agli altri Paesi più importanti del mondo. Il sistema del nostro Paese, tipicamente bancocentrico, garantiva le risorse economiche necessarie per alimentare le attività produttive. E lo faceva così tanto da non stimolare gli imprenditori a non prendere in considerazione l’apertura a capitali provenienti dall’esterno.

Ma, ora che le banche hanno smesso di prestare, cosa frena ancora le aziende italiane? Secondo un recente sondaggio di IR Top Consulting, sono due le principali remore della classe imprenditoriale.

  1. La paura di perdere il controllo dell’impresa fondata, costruita e portata avanti con tanta fatica;
  2. I costi da sostenere durante il processo di quotazione;

In entrambi i casi, il 41% degli intervistati cita queste motivazioni come ragione per non andare in Borsa. Fa effetto analizzare come cambino le risposte di imprenditori di aziende già quotate. Il 98% dichiara che l’unico ostacolo ad una quotazione è quello dei costi (troppo alti). Se il mondo della politica aiuterà gli imprenditori a contenere i costi di quotazione con sostanziosi sgravi fiscali, potremo assistere ad un aumento considerevole del numero di aziende italiane quotate in Borsa.

I costi sono evidentemente troppo alti. Il Governo ci sta pensando davvero a ridurli via incentivi fiscali importanti?

C’è da aggiungere anche un tema di trasparenza per la non quotazione in Borsa. E questo, purtroppo, indica che parecchi imprenditori abbiano parecchio da nascondere, evidentemente.

C’è però da dire che il trade-off (il bilanciamento) tra costi è benefici della quotazione si sta modificando. In passato era percepito (e lo è ancora, evidentemente) con un forte squilibrio sul lato dei costi. Le cose sembra stiano cambiando.

Innanzitutto, se ci fossero davvero degli sgravi fiscali importanti, come si parla, fino a 500.000 euro, sarebbe davvero una misura importante. Da ricordare che il costo della quotazione è pluriennale, cioè non incide, comunque, su un singolo esercizio.

C’è poi un tema di benefici. Intanto, non è vero che si perde il controllo aziendale. Tanto è vero che, dopo la quotazione, come visto, la questione del controllo diventa esiziale per gli imprenditori che, comunque, decidono quanto flottante aziendale quotare. La governance certamente si modifica, perché le informazioni vengono condivise col mercato. ma il controllo può tranquillamente rimanere all’imprenditore.

Delle 50.000 imprese di cui si parlava prima, il 70% è ancora controllato dalle famiglie fondatrici. Questa remora del controllo ci può stare, comunque.

Ci può stare, ma ci sono aziende enormi, a controllo familiare, che si sono quotate da decenni. E’ più un tema legato alla percezione che alla reale consistenza delle cose. Anche perché se un’azienda va bene, l’ingresso di nuovi capitali migliora solo le cose, e non necessariamente serve a scalzare i fondatori, anzi.

Le aziende che hanno retto meglio durante la crisi sono quelle a controllo familiare. Con i PIR e l’apertura del capitale non si deve snaturare il capitalismo familiare della nostra nazione; mantenendo comunque un controllo, la famiglia può oggi aprire il capitale a terzi per poter raccogliere le risorse finanziarie per un futuro ancora migliore.

I benefici della quotazione non sono solo finanziari, ossia la raccolta di denaro. Per esempio la visibilità, l’attrazione, il riconoscimento internazionale, l’attrazione di nuovi manager di valore, migliori relazioni con i fornitori. I benefici non sono da sottovalutare.

Che mercato ci si aspetta nei prossimi anni per risparmio ed imprese?

I PIR hanno fornito una grande opportunità al mercato. Ora sta al mercato valutare bene questa opportunità e non rischiare di giocarsela in modo non corretto. La responsabilità è di tre categorie: imprese, investitori e gestori. Se queste tre categorie faranno adeguatamente il proprio lavoro, i PIR, nel tempo daranno frutti molto positivi.

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