Le perdite di petrolio, la deforestazione e il divorzio sono tutti dati buoni per il PIL; quindi, perché è ancora il metro che usiamo per misurare un’economia? Il primo ministro norvegese e i principali economisti spiegano il dibattito in corso.
Il prodotto interno lordo, o PIL, è la statistica che quasi tutti sanno essere utilizzata per misurare la crescita economica. Ma l’economista Diane Coyle suggerisce che il PIL potrebbe essere una povera misura di prosperità. Con tutti i progressi tecnologici degli ultimi anni, ci si aspetterebbe che le economie siano diventate più produttive. Ma, se misurati in PIL, i numeri mostrano che è vero il contrario. Coyle si riferisce a questo fenomeno come al “problema della produttività“, e afferma che l’errata misurazione delle attività digitali all’interno dell’economia ha molto a che fare con esso.
Quindi, il PIL è la statistica utilizzata per misurare la crescita economica. Misura tutto quello che avviene in un anno nell’economia di una nazione. Misura il valore di mercato aggregato di tutte le merci finite e di tutti i servizi prodotti nei confini di una nazione in un dato periodo di tempo.
Il termine interno indica che tale variabile comprende le attività economiche svolte all’interno del Paese; sono dunque esclusi i beni e servizi prodotti dalle imprese, dai lavoratori e da altri operatori nazionali all’estero. Sono inclusi i prodotti realizzati da operatori esteri all’interno del Paese. Sono escluse dal PIL anche le prestazioni a titolo gratuito o l’autoconsumo.
Il termine lordo indica che il valore della produzione è al lordo degli ammortamenti, ovvero al naturale deprezzamento dello stock di capitale fisico intervenuto nel periodo. Questo comporta che, per non ridurre tale grandezza a disposizione del sistema, parte del prodotto deve essere destinata al suo reintegro.
Il PIL è sotto questione da molto tempo come reale valore della ricchezza di una nazione. Questo perché il PIL ha un notevole potere; può influenzare i risultati elettorali, e determina quanto una nazione possa chiedere come prestiti sui mercati internazionali. Quindi, quanto è realmente utile? Lascia fuori diversi asset, come il costo ambientale della crescita economica. Ma anche il lavoro non pagato, ma che influenza un’economia, come quello delle casalinghe.
Un’approccio alternativo è quello di focalizzarsi sulla “crescita inclusiva”. Il WEF utilizza questo framework nel valutare la crescita, una crescita che benefici la società nel suo insieme, e che duri nel futuro.
In altre parole, come possiamo aumentare non solo il PIL, ma la misura in cui questa performance di punta di un paese scende a cascata a beneficio della società nel suo insieme? La risposta mette le persone e gli standard di vita al centro delle politiche economiche nazionali e internazionali.
Istruzione, infrastrutture, etica, investimenti, imprenditorialità e protezione sociale sono solo alcuni dei fattori che contribuiscono a creare questa nuova politica economica – e il mix sarà diverso per ogni paese.
Nel 2018, in base a quanto appena detto, il leader mondiale è la Norvegia. La Norvegia è al vertice dell’IDI, con alti e crescenti standard di vita, protezione sociale efficace e bassa disuguaglianza. Vi è un alto grado di mobilità sociale, bassa disoccupazione e una grande percentuale di donne partecipano alla forza lavoro, aiutate da solide politiche sui congedi parentali e un’assistenza all’infanzia accessibile.
L‘indice di sviluppo inclusivo (IDI) è una valutazione annuale della performance economica di 103 paesi. che misura come i paesi si comportano in undici dimensioni del progresso economico oltre al PIL. Ha 3 pilastri; crescita e sviluppo; inclusione e equità intergenerazionale; gestione sostenibile delle risorse naturali e finanziarie.
La Norvegia, prima nel complesso, è al secondo posto per l’equità intergenerazionale e la terza per gli altri due pilastri dell’indice: crescita e sviluppo e inclusione. Le piccole economie europee dominano la parte superiore dell’indice, con l’Australia (9) l’unica economia non europea tra le prime 10.
Tra le economie del G7, la Germania (12) è la più alta. Seguono il Canada (17), la Francia (18), il Regno Unito (21), gli Stati Uniti (23), il Giappone (24) e l’Italia (27). In molti paesi esiste una netta differenza tra i singoli pilastri. Ad esempio, gli Stati Uniti si classificano 10 su 29 per la crescita e lo sviluppo; tuttavia, si posizionano 28esimi su Inclusione e 26esimi su Equità intergenerazionale. La Francia, d’altra parte, si comporta meno bene su crescita e sviluppo (21 su 29); tuttavia, si classifica 12esima per Inclusione. Il suo basso punteggio su Equità intergenerazionale (24) suggerisce che potrebbe avere problemi nel futuro.
Sei economie europee emergenti si trovano tra le prime 10 posizioni nella classifica delle economie emergenti: Lituania (1), Ungheria (2), Lettonia (4), Polonia (5), Croazia (7) e Romania (10). Questi paesi hanno buoni risultati in termini di crescita e sviluppo, traendo vantaggio dall’appartenenza all’UE, nonché sugli indicatori di inclusione, poiché le condizioni di vita mediane sono aumentate e la disuguaglianza nella ricchezza è diminuita in modo significativo. Anche l’America Latina si comporta bene, con tre paesi tra i primi 10: Panama (6), Uruguay (8) e Cile (9).
La performance è mista tra le economie BRICS, con la Federazione Russa al 19 ° posto, seguita da Cina (26), Brasile (37), India (62) e Sudafrica (69). Sebbene la Cina sia al primo posto tra le economie emergenti nella crescita del PIL pro capite (6,8%) e nella crescita della produttività del lavoro (6,7%) dal 2012, il suo punteggio complessivo è ridotto da prestazioni poco brillanti sull’Inclusione. Altri paesi emergenti come il Messico (24), l’Indonesia (36), la Turchia (16) e le Filippine (38) mostrano maggiori potenzialità sull’equità intergenerazionale e sulla sostenibilità, ma mancano progressi sugli indicatori di inclusione come la disuguaglianza di reddito e di ricchezza.
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