Il mercato azionario italiano secondo Ersel

Intervista a Carlo De Vanna, gestore del fondo Fondersel PMI, sulle prospettive del mercato azionario italiano. Come stanno andando le cose?

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Nel mese trascorso dall’ultima presentazione, i mercati azionari mondiali hanno registrato un andamento laterale o addirittura positivo, come per esempio nel caso degli Stati Uniti. Da un certo punto di vista questo potrebbe anche un po’ stupire, visto che è proprio nell’ultimo mese che gli analisti finanziari hanno iniziato a stimare, a livello bottom up, quale sarà l’impatto su fatturati, marginalità e utili sulle aziende di questa crisi, I macroeconomisti hanno iniziato invece a valutare quale sarà l’impatto sul GDP e sul livello di indebitamento degli stati.

In realtà, bisogna ammettere che proprio da parte degli stati e, in misura ancora maggiore delle banche centrali, abbiamo registrato un intervento veramente, veramente massiccio. Soprattutto negli Stati Uniti si è assistito a un una reazione veramente molto importante, sia da parte della FED che, ovviamente, anche del, diciamo, del governo, e tutto sommato anche in Europa iniziamo a registrare la presa di coscienza che è necessario fare fare qualcosa per evitare che la situazione si avviti.

I mercati, quindi, hanno festeggiato in un certo qual modo queste reazioni. Poi, anche dal punto di vista dell’evolversi della malattia la situazione, diciamo, la derivata è diventata positiva. In particolare, in Italia ormai siamo vicinissimi
all’entrata nella fase due, cioè alla riapertura di alcune attività economiche, e gli altri paesi europei seguiranno a
ruota, con tutti i rischi del caso ma comunque, ovviamente, in questo momento è visto come una notizia molto positiva. E poi, dal punto di vista medico, non manca giorno in cui qualcuno non annunci di aver trovato una cura più efficace, che possa non ovviamente curare completamente la malattia, ma magari evitare in casi più gravi le complicazioni. E la ricerca dei vaccini è ormai avanti in vari test in giro per il mondo, e quindi tutti speriamo che almeno uno o più di questi studi possa portare a un vaccino entro un annetto.

Detto questo, ovviamente, scendendo nel dettaglio dell’Italia, la situazione italiana è un po più complicata, perché abbiamo un debito pubblico più alto, abbiamo una struttura economica più fragile, fatta di tante aziende medio-piccole, che ovviamente hanno minori capacità di reggere questa fase di difficoltà. C’è il timore diffuso che una parte dell’attività economica possa anche non riuscire a riprendere, quando ci sarà la riapertura totale.

Abbiamo quindi optato, in questa fase, per un approccio molto pragmatico di portafoglio. In particolare, abbiamo aumentato la quota complessiva investita, che è tornata su per giù in area al cento per cento. Quindi abbiamo più o meno ricomprato 6-7 punti di azioni e, dall’altro lato, abbiamo aumentato, però soprattutto nelle utility, cioè i titoli da un certo punto di vista più difensivi, con un business quindi regolato o semi-regolato, dividendi più alti e, soprattutto, gli unici dividendi che al momento sembrerebbero certi, dopo che tante aziende industriali e banche e assicurazioni, hanno dovuto rivedere a zero o ridurre sensibilmente il dividendo.

Siamo stati invece moltom molto più prudenti per quanto riguarda soprattutto le banche, proprio perché il nostro sistema bancario è ovviamente molto esposto nei confronti dell’economia, soprattutto retail delle piccole e medie aziende, e quindi è possibile che si registri una risalita nel livello di sofferenze nei nei prossimi trimestri.

Infine abbiamo, all’interno dei finanziari, ricominciato a guardare i financial services, cioè tutto quel mondo di attività collaterale all’attività al business bancario, che ha sempre avuto multipli piuttosto alti, aveva subito un derating significativo, e che offre un buon profilo di rischio con delle crescite che potrebbero essere anche impattate in misura marginale da questa situazione. Sulle industriali invece, bene o male, abbiamo mantenuto le posizioni, quindi concentrandoci sui nomi più solidi, quelli con la quota di esportazioni più alte sul fatturato, e comunque soprattutto quelle che sono forti in nicchie di mercato, che quindi al limite potrebbero diventare, se la crisi dovesse dovesse essere più lenta a terminare, potrebbero addirittura diventare prede di player di maggiori dimensioni.

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