Debito pubblico. Sud in rosso? Non è vero, la Basilicata, per esempio… | Truenumbers

Grazie alle royalties gli enti locali riescono a evitare la trappola del debito pubblicoTruenumbers fornisce una view inedita su una problema annoso, con una rivelazione che stupirà molte persone poco attente a queste faccende.

La Basilicata non ha paragoni

Tra le regioni del sud è la seconda ad avere il debito pubblico degli enti locali pro capite più basso, posizionandosi dietro la Puglia. Infatti, ogni cittadino della Basilicata ha debiti per 1159,39 euro, calcolando i prestiti ottenuti da comuni, province e regioni, e concessi da banche, Cassa Depositi e Prestiti, ed istituti finanziari. E’ meno indebitato di un calabrese, di un campano, ed è nettamente sotto l’indebitamento nazionale pro capite medio di 1871 euro.

Perché le regioni e gli enti locali si indebitano?

I soldi ottenuti in prestito servono per realizzare opere pubbliche, come l’edilizia scolastica e la viabilità, oppure per finanziare la sanità locale. Le royalties petrolifere contribuiscono dunque non solo a limitare l’imposizione fiscale locale, ma anche a contenere un fenomeno meno visibile, come l’indebitamento pubblico.

Raddoppieranno, infatti, nel 2019 e si triplicheranno nel 2020, le royalties che le società petrolifere hanno versato sulla produzione nazionale di idrocarburi del 2017. Si passerà dagli attuali 136 milioni di euro a 251 milioni, per arrivare a 405 milioni di euro trainati dall’aumento delle estrazioni e dal prezzo del greggio, fino a sfiorare nel triennio gli 800 milioni di euro. «Ma potranno triplicarsi ancora. C’è tantissimo petrolio e gas in Italia non sfruttato – ribadisce il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli -. Risorse tutt’altro che trascurabili; basti pensare che i giacimenti accertati nel nostro Paese hanno volumi simili a quelli del Mare del Nord e della Norvegia: 225 milioni di tonnellate di petrolio e 115 miliardi di metri cubi di gas. Le nostre importazioni sono 10 volte la produzione nazionale, assurdo non sfruttarle».

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