Banche in crisi: il clima d’incertezza sul sistema bancario accomuna tutta Europa. È stata la settimana del salvataggio lampo di Banco Popular in Spagna. Il sesto istituto di credito spagnolo avveva messo a dura prova i mercati per il timore di un possibile bail-in. Lo ha comprato il gruppo Santander, al prezzo simbolico di un euro. Il prossimo passo, già annunciato, è un tormento di capitale da sette miliardi di euro. Un intervento decisivo per proteggere i depositi del Banco Popular e assicurare così la stabilità finanziaria del paese.
La crisi bancaria va affrontata velocemente. La velocità è un problema essenziale perché la moneta di scambio tra banche e clienti si chiama fiducia e quando si allenta la fiducia i risparmiatori scappano via. In Italia però non è facile intervenire: abbiamo una concentrazione molto forte di banche in crisi e un’ampia quantità di crediti deteriorati. A fine 2016 il governo ha messo 20 miliardi per salvare le banche, ma ormai le regole europee rendono tutto più complicato.
Come sottolinea Morya Longo del Sole 24 Ore, tra i soldi europei chiesti dalla Spagna o l’Irlanda per salvare le proprie banche c’erano anche i nostri. “Abbiamo usato i nostri soldi per salvare le banche altrui e non le nostre.” Perché? L’Italia ha fatto una scelta politica. Se avessimo chiesto gli aiuti europei sarebbe intervenuta la troika. Inoltre avevamo uno spread troppo alto, e il debito pubblico sarebbe aumentato. Tuttavia questa decisione ha peggiorato la situazione del nostro sistema bancario. E il ritardo nell’intervenire lo stiamo pagando con la lunga recessione.
Monte dei Paschi di Siena, Popolare di Vicenza e Veneto Banca sono state le protagoniste di questi giorni. Per la prima è stato appena scongiurato il bail-in, grazie all’accordo raggiunto con Bruxelles che darà il via alla ricapitalizzazione precauzionale pubblica. Ma per le venete la partita è ancora tutta da giocare.
In Italia ci sono istituti molto solidi, a fianco di banche in difficoltà. Questa situazione potrebbe aprire la strada a un salvataggio “privato” per le due banche venete. Servirebbe un miliardo di euro. Le banche sane per ora dicono di no, ma un bail-in delle banche venete creerebbe effetti a catena molto peggiori.
La necessità di un processo di ristrutturazione non si limita solo agli istituti che presentano le maggiori difficoltà: riguarda l’intero settore bancario alle prese con minacce interne ed esterne. L’ammontare dei crediti deteriorati, seppur in minima parte ridotto, risulta ancora troppo alto e pesa negativamente sui bilanci degli istituti. I tassi di interesse sono ancora ai minimi storici, limitando sempre di più gli utili indispensabili per mantenere una adeguata redditività. Inoltre, la rivoluzione tecnologica impone cambiamenti sempre più radicali, con investimenti sempre più ingenti.
L’economia moderna è basata sul sistema bancario. Non abbiamo un sistema di capitali efficiente a cui le imprese possono attingere per reperire soldi. In Italia soprattutto, la banca è l’unica fonte di finanziamento: se crolla, viene meno l’intero sistema economico.
In Italia i risparmi privati ammontano a 4mila miliardi. Una ricchezza finanziaria che non è mai stata investita nel sistema produttivo italiano, ma sempre in titoli di stato o all’estero. I PIR, commenta Moyra, sono quindi uno strumento giustissimo. Tuttavia, sono solo la prima gamba, poi serve la seconda, cioè incentivi alle imprese a quotarsi in borsa. Noi abbiamo una borsa piccolissima, invece si dovrebbe creare un meccanismo virtuoso per permettere alle imprese di quotarsi. Altrimenti rischiamo che si crei una bolla, perché tanti soldi vanno a finire in un mercato piccolo.
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