Perché le banche italiane sono in crisi? Leopoldo Gasbarro fa il punto assieme a Marco Giorgino, Professore di Finanza e Risk Management al Politecnico di Milano.
Partiamo dai dati: una recente ricerca condotta da Mediobanca sui bilanci 2015 dei nostri 435 istituti di credito ha evidenziato una situazione tutt’altro che rosea. È stato preso in esame il cosiddetto Texas ratio, l’indice che misura i rapporti tra sofferenze bancarie e patrimoni. Quand’è sotto il 100%, la banca è sana. Ma una su cinque in Italia ha crediti in sofferenza superiori al patrimonio netto tangibile. Per l’esattezza, 114 istituti hanno una Texas ratio che va oltre il 100%. Per 24 l’indice supera addirittura il 200%.
Al centro del problema ci sono i crediti deteriorati, anche noti come NPL, l’acronimo della traduzione inglese non performing loads. Di che si tratta? Sono prestiti che le banche hanno fatto a privati o imprese, che i debitori non riescono più a ripagare con regolarità o del tutto. Ci sono posizioni più difficili, patologiche e altre in una condizione fisiologica, quindi di possibile recupero. Perché le banche hanno queste posizioni così importanti nel loro bilancio oggi? La crisi economica e l’impennata della disoccupazione hanno giocato un ruolo importante.
Il problema dei crediti deteriorati nel nostro paese è sicuramente superiore rispetto ad altri paesi europei. Abbiamo il 20% dei crediti deteriorati che complessivamente caratterizzano il sistema bancario europeo. Al contempo però la nostra economia, attraverso il PIL, incide su quella europea per il 14%. Il tema dei crediti deteriorati è sicuramente un tema di sistema, ma c’è una certa eterogeneità: alcune banche oggi hanno situazioni di maggiore instabilità, altre sono più solide.
Certo, la situazione complessiva è difficile, anche per le recenti riforme che hanno accelerato il bisogno di trasformazione. Ad esempio quelle sul bail in. E la rivoluzione digitale ha fatto il resto. Cresce la presenza di nuovi player che hanno cambiato o cambieranno il modo di fare banca. Per il professor Giorgino, ci sarebbe bisogno di un tempestivo intervento istituzionale che tuteli il rapporto fiduciario tra banche e risparmiatori. E poi, alla dimensione umana occorre affiancare un’evoluzione digitale del modello operativo e distributivo. Un intervento necessario per incontrare le necessità di un cliente sempre più evoluto, oltre che per tagliare i costi, ancora oggi molto alti rispetto alla media europea.
