Lavoro. La Cruda Verità sul Futuro (che nessun politico Ti dirà mai) | Marco Montemagno

Quando si parla del futuro del lavoro, il 99% delle persone che ne sentite parlare non ha la più pallida idea di quello che sta per succedere. I pochi che hanno chiaro in testa che cosa sta per succedere, stanno in Silicon Valley, in qualche altro hub tecnologico, e sono quelli che stanno sviluppando la tecnologia che impatterà tutti quanti. Ancora meno sono quelli che, oltre avere una visione chiara, hanno anche il coraggio di metterci davanti agli occhi la cruda realtà.

Nel giro di 30 anni, non di 300 anni, di 30 anni, se andiamo avanti così, il mondo del lavoro sarà rivoluzionato in modo catastrofico. Ma non credete a me. Fate i vostri approfondimenti e valutate voi.

L’autore che vi consiglio di leggere, comunque, è questo signore qua: Yuval Noah Harari, storico israeliano, molto competente, coi controcoglioni, super connesso anche con tutto il mondo tecnologico. Un po’ di anni fa uscì con un libro che era “Sapiens”, questa roba qua. Un articolo in particolare che vi consiglio di leggere, è uscito sul Sunday Times di agosto 2016, ed è un’intervista che oggettivamente fa molto riflettere.

Il tema principale è che il mondo tecnologico si sta mangiando via il mondo, e questo lo sappiamo. L’automazione prenderà il sopravvento, e questo lo sappiamo più o meno tutti. Ma quello che nella maggior parte dei casi si dimenticano di dirci, è il livello di questo sopravvento, che sarà un sopravvento, totale. I lavori per i quali maree di sbarbati stanno studiando in questi momenti, non esisteranno, nel giro di 30 anni non ci sono più. Li farà un algoritmo. Non arriva ET o C1 P8, ma un algoritmo, semplicemente, li farà meglio di noi. Ora voi direte: ma perché dovremmo cedere il controllo totale ai nostri algoritmi? Per vari motivi.

Numero uno, perché ci converrà. Immaginati di avere, vicino a te, un algoritmo che è molto più bravo di te. Ti conosce perfettamente, perché ha tutti i dati che ti riguardano. È super smart, si connette a qualunque dato del pianeta, in tempo reale calcola e ti consiglia, al meglio, su come guadagnare, su come vivere una vita sana e salutare, su come avere una vita sessuale che ti soddisfa, su come scegliere la donna della tua vita. È semplicemente più bravo di te a fare i tuoi interessi. A quel punto che fai? Gli cedi il controllo.

Il secondo motivo per cui è inevitabile che passeremo la palla agli algoritmi, è che hanno in mano tutti i dati. E come fanno ad avere i nostri dati, direte voi? Beh, glieli stiamo dando noi, gratis. Come ai tempi dell’imperialismo europeo, l’Africa è stata conquistata a suon di bastonate, guerre e ciondoli che venivano regalati. Vuoi un ciondolo, vuoi un ciondolo, e bum ti do un pezzo di terra. Nella nostra epoca, invece, i colossi tecnologici si stanno incamerando tutti i nostri dati in cambio di video di gattini, di foto di te ubriaco che puoi caricare sui tuoi social e via dicendo. Questo è il lato chiaramente più cazzoso. È ovvio che ci sono miliardi di altri aspetti positivi, ma il dato di fatto è che i nostri dati li stiamo totalmente consegnando, volenti o nolenti, al mondo tech.

Il terzo motivo, oltre al tema dei dati, e quindi la perdita della privacy, oltre al tema dell’upgrade biologico dove un algoritmo fa qualcosa meglio di me, e quindi gli passo il controllo, è quello che Harari definisce “tecno religioni”. Nel momento in cui siamo tutti agganciati, è chiaro che i player tecnologici hanno un’enorme possibilità di convincimento e di persuasione. La tecno religione, che in sostanza è il credo che la tecnologia sarà esclusivamente meravigliosa e solamente nel nostro interesse per sempre. È facile da esportare un’installazione alla volta. Ed è per questo che secondo me vanno letti autori come Harari, perché hanno una visione esterna rispetto alla macchina, la PR machine di Silicon Valley e affini.

A questo punto, se gli algoritmi prendono davvero il controllo, in modo graduale, con il nostro consenso, con la nostra collaborazione, iniziale, senza che ci sia Terminator, quello che succede di fatto, è che il lavoro viene completamente rivoluzionato, ed è vero che verranno creati altri lavori, ma anche quelli verranno sempre più automatizzati. E, a tendere, il lavoro come concetto sarà completamente automatizzato. Perché ci converrà, perché ci sembrerà conveniente, o perché alla fine la situazione, semplicemente, ci sarà scappata di mano. In ogni caso, quello che succederà è che tu avrai miliardi di persone a spasso.

Una gran parte della popolazione diventerà quella che Harari definisce “the useless class”, la classe sociale degli inutili. Non hai lavoro, non hai un luogo sociale, e che cazzo fai? È un’élite molto ristretta di persone, che Harari chiama “Elite cognitiva”, che avrà a disposizione algoritmi molto migliori rispetto alla massa e avrà un potere da faraoni. È un po’ come dire: “Se io guido una macchina da Formula 1 e tu guidi una Vespa, io vado molto più veloce di te”.

Non è una discriminazione ideologica, è un dato di fatto. In futuro, al posto di avere una Lamborghini, il ricco di turno avrà il suo Lambo-ritmo, il suo algoritmo superfighissimo, che rispetto al tuo algoritmo sfigato è avanti anni luce, gli da un vantaggio competitivo in tutto, davanti al quale tu semplicemente non potrai competere.

Che si fa allora amici? Non ho una ricetta magica. Quello che so però è che tutti dovremmo fermarci un attimino, porre in cima a qualunque dibattito temi come l’etica della tecnologia, l’etica dell’intelligenza artificiale, gli universal basic income. Privacy vera, tecnologia e automazione, tecnologia e povertà, tecnologia e ambiente. E in generale conviene farci il prima possibile un nostro piano. Che sia basato sull’unicità. Essere il più possibile unici nelle cose che facciamo per essere sostituiti il più tardi possibile. E competenza tecnologica. Avere le antenne alzate per testare di volta in volta quello che sta uscendo e non restare indietro.

Lo sapete come si dice: se non hai un piano tu, farai parte del piano di qualcun altro. E a ‘sto giro, questo qualcun altro è un algoritmo. E indovina un po’ che lavoro ti ha riservato, tra 30 anni.

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