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Contraddizioni solo apparenti
Almeno per le borse aprile non è stato il più crudele dei mesi, per dirla con Thomas Eliot. Mentre uscivano dati disastrosi sulla crescita del primo trimestre, dati destinati a peggiorare per quanto riguarda la restante parte dell’anno, le borse mettevano a segno un mese entusiasmante. La contraddizione tra queste due grandezze è solo apparente. E’ evidente che non sono le attese degli utili quelle scontate, ma due diverse condizioni. Le misure messe in campo da governi e banche centrali a contrasto del crollo della domanda globale e, naturalmente, il fatto che nutrendosi di aspettative, guardando al futuro, i mercati scontano già la ripresa via via che i lockdown vengano allentati o sospesi. E questo ci porta un po’ alla geometria della ripresa. Si avrà una forma a V, sperata, a U, o addirittura a L, una recessione, scenario quest’ultimo poco probabile. Le misure messe in campo dai governi sono tali da renderlo poco probabile. Il fondo monetario, per il 2020, stima un crollo della ricchezza globale del 3 per cento. Appena a gennaio le stime erano di una crescita del 3.3 per cento globale. Una escursione, in pochi mesi, nella previsione di 6 punti percentuali, dà la misura delle condizioni dell’economia globale, della pesantezza della crisi, delle conseguenze della pandemia. E se la pandemia verrà contenuta, e sarà tenuta sotto controllo in tempi rapidi, se i lockdown verranno sospesi e non ci saranno ulteriori contagi, se il virus non avrà mutazioni da renderlo ancora pericoloso, e se le misure messe in atto da governi e banche centrali saranno efficaci, allora sotto tutte queste condizioni nel 2021 il fondo monetario prevede una ripresa del 5.8 per cento dell’economia globale. Questa è la ripresa a V. Il conto sarà comunque salatissimo. Una perdita di ricchezza di 9.000 miliardi tra questo e il prossimo anno
pari, anzi superiore, alla somma delle economie di Giappone e di Germania. Però ci sono ancora troppi se, troppe variabili in campo per escludere con ragionevolezza l’ipotesi di una ripartenza più lenta, più faticosa.
Covid-19 acceleratore di fenomeni
Non possiamo sapere se la pandemia avrà effetti catartici sull’umanità intera e sulle sue mirabili sorti. Quello che possiamo dire con una certa sicurezza è che il covid-19 sia un acceleratore di fenomeni che sono già presenti. Provo a individuarne 3. Acquisterà velocità e pericolosità il confronto fra gli Stati Uniti, che sono in un anno elettorale, e la Cina. Un confronto che da economico diventa una competizione tra modelli politici, e la Cina sta esercitando il proprio soft power. In condizioni meno estreme un basso prezzo del petrolio sarebbe una buona notizia, ma in queste condizioni il crollo della domanda globale e i disastri sanitari della pandemia potrebbero mettere a rischio la stabilità economica e la stabilità sociale di quei paesi esportatori di petrolio che però non dispongono di adeguate riserve valutarie. Mi riferisco a Venezuela, Messico, Nigeria, Iran. Le possibili instabilità interne in questi paesi potrebbero aumentare l’entropia del già precario equilibrio geopolitico globale. Terzo fenomeno, il debito. Dalla crisi del 2008, innescata dal troppo debito, il debito globale è cresciuto di un altro 40 per cento. Siamo a 255 trilioni di dollari, pari al 320 per cento del pil globale. Misure destinate ad aumentare ulteriormente sui debiti che vengono contratti per contrastare la pandemia. Il debito italiano è proiettato con disinvoltura oltre il 150, 155 per cento del PIL. Significa riportare l’orologio delle pubbliche finanze italiane agli anni venti, gli anni successivi alla Grande Guerra. Il debito globale proiettato oltre il 342 per cento.
Le scelte di asset allocation
Sarebbe un errore interpretare le crescenti borse in aprile come un segnale anticipatore di una ripresa dietro l’angolo. I prezzi delle obbligazioni, del petrolio, delle commodity cicliche o dall’altra parte il prezzo dell’oro, suggeriscono invece che l’appuntamento è spostato in avanti nel tempo. Dietro le performance sintetiche di un indice si nascondono forti dispersioni dei rendimenti. Alcuni settori se la caveranno meglio, altri faranno più fatica. In questo senso il covid-19 è un acceleratore anche della rotazione settoriale, che esige da parte nostra maggiore selettività. In una recensione a un bel romanzo svedese, Alessandro Baricco racconta l’episodio della regina che vuole imparare a cavalcare. Monta in sella con grande spavalderia,
dopo di che chiede se ci fossero delle regole. Solo due maestà risponde il maestro di equitazione. La prima è l’audacia, la seconda la prudenza. Ora, l’audacia ci porta a guardare con una relativa sicurezza al valore delle azioni, al premio di rendimento che danno nel lungo termine. La costante di Sieger sappiamo che premia i capitali pazienti. La prudenza, però, ci invita alla cautela per quanto riguarda il periodo imminente, il breve termine. Quindi grande selettività, torna il valore della gestione attiva e l’utilità delle strategie multi asset a bassa volatilità. Per il medio termine suggeriamo ancora di guardare agli investimenti tematici, un tasto su cui GAM batte da tempo, perché sono gli strumenti che aiutano a superare la debolezza del breve termine. Quindi candidati migliori la tecnologia, l’health care, il lusso, seguiti dai mercati emergenti. In estrema sintesi il risparmiatore dovrebbe evitare il cosiddetto situazionismo, cioè un’attenzione esacerbata al presente. Esercitare la cautela, la circospezione, incastonare cioè questo periodo in un contesto storico più lungo, più ampio. In definitiva, a rimanere fedele al proprio metodo. E, in ultimo, perché no, confrontare le proprie idee con quelle di un consulente di fiducia, con un esperto. Un esercizio mai così utile come in questo periodo.
In un dialogo a più voci gli strategist del Market Insights Program di J.P. Morgan Asset Management delineeranno i temi che condizioneranno il 2019.
La guerra commerciale continuerà ad influenzare anche l’economia europea? Come reagiranno gli Stati Uniti in questa fase matura del ciclo? Quali sono i principali rischi per la crescita in Europa?
Da diversi punti di osservazione, Karen Ward, Chief Market Strategist per l’Europa e il Regno Unito che in passato è stata tra gli advisor del Ministro dell’Economia del Regno Unito, Maria Paola Toschi, Global Market Strategist di J.P. Morgan Asset Management basata in Italia e Tai Hui, Chief Market Strategist per l’Asia, basato ad Hong Kong, riescono a cogliere nel complesso le dinamiche globali e locali, a rispondere a questi e altri quesiti nella mente dell’investitore e a spiegare quali conseguenze avranno sugli investimenti.
Gli esperti saranno moderati da Andrea Cabrini, Direttore di Class CNBC.
]]>Gli ultimi tre mesi sono stati caratterizzati da un riposizionamento del cambio euro-dollaro, che ha sfavorito gli investimenti in valuta statunitense. Sotto i riflettori è tornato anche il petrolio, che ha visto valutazioni al ribasso penalizzando tutte le materie prime.
La stagione elettorale e la politica hanno dominato la scena per la prima metà dell’anno in Europa. Dalla vittoria di Macron in Francia alle elezioni convocate a sorpresa da Theresa May in Regno Unito. In questo trimestre ancora il futuro dell’Unione Europea è tornato in discussione e per una volta le prospettive per l’integrazione sono tornate ad essere più rosee. I mercati hanno festeggiato la vittoria di Macron e non hanno preso negativamente la mancanza di una maggioranza alle elezioni inglesi. Probabilmente le prospettive per una soft Brexit sono aumentate.
La principale novità del trimestre è stata probabilmnete la rincorsa dell’euro nei confronti del dollaro seguita all’elezione di Macron. A partire dalla fine aprile abbiamo assistito a dei movimenti tra USA ed Europa che hanno fatto pendere il tasso di cambio in favore dell’euro. Questa novità ha penalizzato i portafogli denominati in euro con un’esposizione nei confronti della valuta statunitense. Nei prossimi mesi ci sarà da tenere sotto controllo l’azione delle banche centrali, con la BCE che manda segnali di voler chiudere i rubinetti prima del previsto. Questo sta creando pressione sulle obbligazioni, un’altra situazione da monitorare.
Anche il petrolio è tornato a scendere, penalizzando le materie prime.
Di solito nel periodo estivo i fondamentali sono poco mossi. I fondamentali restano comunque positivi, gli utili delle aziende sono stati buoni e la crescita economica potrebbe essere oltre le attese.
I dati di metà anno ci confortano. Questo semestre siamo stati penalizzati dalle valute. Ma crediamo di poter dire che la prospettiva per l’investitore rimane positiva. E questa è l’indicazione che viene dai fondamentali.
Di certo bisogna fare attenzione alle mosse delle banche centrali e agli avvenimenti politici negli USA e in Europa.
]]>In realtà, a giro per il mondo ci sono ancora diverse opportunità, ma su mercati azionari selezionati. Lasciamo da parte il mercato azionario USA; per meglio dire, ci focalizziamo su settori che abbiano il miglior aumento delle redditività e valutazioni basse. Un esempio? Il settore bancario.
Più interessante sicuramente l’azionario europeo, che proprio recentemente sta vivendo una ripresa degli utili. Questi ultimi sono in salita anche nel settore bancario; le aspettative degli analisti vengono sorprese in positivo, e di gran lunga.
Stessa cosa vale per i mercati emergenti, cioè bisogna investire facendo selezione. Per esempio, in Cored del Sud si sta assistendo ad un miglioramento continuo delle redditività delle aziende. Nello stesso tempo, le valutazioni sono incredibilmente a buon mercato. Per avere un’idea, si parla di multipli P/E ancora intorno a 10, quindi valutazioni molto interessanti.
Qui viene fatto qualcosa di un po’ diverso. La focalizzazione è su quelle nicchie di mercato i cui rendimenti siano adeguati per i rischi. Questo vuol dire essere ben retribuiti per i rischi che andiamo a comprare. Per esempio, il credito americano, nella parte investment grade (titoli BBB), offre ancora spread e rendimenti adeguati per i rischi. I default, infatti, sono bassissimi. L’economia sta crescendo ad un ritmo più che discreto. Inoltre, la politica monetaria viene gestita in maniera molto prudenziale dalla FED. Non si vedono, quindi, grandi rischi per le aziende.
Sugli emergenti, le opportunità sono in valuta locale. Le nazioni? Messico, Colombia. Sempre cercando storie idiosincratiche, per cui diversificazione e redditività.
Bisogna evitare in ogni modo la vera bolla. E qual’è? I titoli di stato, ovvio. Rendimenti reali negativi in Germania, in molti paesi europei non periferici, in Giappone, in Gran Bretagna. Ciò rende questi titoli del tutto inadatti per il contesto economico. Quest’ultimo è fatto da una ripresa sincronizzata nella maggior parte dei mercati mondiali.
]]>Natale e la sua economia. Enrico Bartolini, chef di livello internazionale con due stelle “Michelin”, ci racconta la sua esperienza di imprenditore in Italia e all’estero, e quale sia la ricetta giusta per il successo. Il ristorante di Bartolini è al Mudec di Milano.
Mercati che fare è una trasmissione di Leopoldo Gasbarro per TGcom24.
Stile italiano e gastronomia stanno crescendo molto. Milano come città ne è un grande esempio. Molte aperture negli ultimi due anni. Trasformazione di molti locali da gestioni più “antiche” in ristoranti all’avanguardia. A tavola si fanno molti affari. Italia simbolo nel mondo con la propria tavola, sia come piatti che come prodotti.
La ricetta rimane sempre gastronomica. Grandi ingredienti, saperli trasformare con costanza. Magari variando il menù, ma certamente mantenendo inalterata la qualità e la costanza. Quindi, ingredienti primari, che stimolino industria e contadini a fare bene, ed a produrre prodotti di qualità. La tavola richiede una buona compagnia, un sorriso, e poi siamo quello che mangiamo.
La passione per il buon cibo non tramonta mai. La cucina piace, e non solo a tavola, ma anche in TV. Attira l’attenzione di un pubblico sempre più vasto. I consumatori si appassionano, acquistano libri, cercano su Internet. Per trasformare la passione in business la regola è sempre la stessa, non affidarsi all’improvvisazione. Se qualità e coraggio non bastano a farci chef stellati, anche per la gestione del nostro patrimonio non possiamo lasciare che sia il caso a guidarci.
In cucina un piatto ben riuscito è la miscela di più ingredienti mixati insieme correttamente. Anche la ricetta del rendimento passa dal giusto mix di investimento. Un portafoglio ben diversificato che investe in tutte le borse mondiali è la risposta concreta per minimizzare i rischi di un mercato sempre più imprevedibile.
]]>Salvataggi bancari, un anno dopo. A un anno dai salvataggi delle quattro banche italiane, c’è da chiedersi cosa è cambiato e, soprattutto, quanto e chi ha pagato. Il vecchio modello di banca è sorpassato, fare la scelta giusta sarà determinante. In studio Massimo Fracaro, direttore di CorriereEconomia.
Conduce in studio Leopoldo Gasbarro per TGcom24.
Ad un anno dai salvataggi bancari dei 4 istituti in crisi, sono ancora troppi i nodi da sciogliere. Bankitalia ha chiesto ad UBI di comprare 3 delle nuove “good banks”, ma un compratore ancora non c’è. Le popolari sono sempre alle prese con la trasformazione in SpA imposta dalla BCE. Montepaschi sta ancora cercando di salvarsi attraverso una nuova ricapitalizzazione, strada intrisa di bivi pericolosi. A conti fatti, il salvataggio di allora non ha salvato nessuno. I passaggi difficili che tanti istituti stanno vivendo non fanno che gravare sulla fiducia dei piccoli risparmiatori. Come è possibile stare tranquilli? Il sistema appare più solido rispetto ad un anno fa. La macchina dei rimborsi è partita. Ad oggi sono 1320 i rimborsati, per 15 milioni di euro. Segnali incoraggianti, ma che non possono bastare. Alle banche italiane mancano ancora (almeno) 20 miliardi per rialzarsi. Chi pagherà il conto? Basterà?
E’ passato un anno, vissuto pericolosamente, ed inutilmente. Le good banks non sono ancora state vendute, e comunque saranno vendute a prezzi più bassi. Chi ha partecipato ai salvataggi bancari ha dunque perdite, da cui sta rientrando aumentando i costi dei conti correnti. Tra l’altro, i problemi presenti allora non sono stati risolti. Sofferenze diminuite, ma ancora troppe. Anche la BCE si sta mostrando un po’ troppo rigida. Tra l’altro, con politiche diverse da quelle consentite in altri paesi europei. Il sistema creditizio è ancora troppo fragile. Consideriamo anche che le banche soffrono per i tassi bassi, guadagnando sugli spread tra denaro prestato e restituito.
Aggiungiamoci anche la rivoluzione digitale (fintech), con l’emergere di molti concorrenti non tradizionali, e che sottraggono alle banche parte dei ricavi. Le sofferenze sono il vero scoglio. Infatti, sono per lo più sofferenze immobiliari, non creditizie senso strictu. Questo vuol dire che le banche hanno finanziato troppo gli amici e chi conoscevano per acquisti a volte non necessari.
Anche l’idea di voler recuperare parte dei costi dei salvataggi bancari caricando i conti correnti è sbagliata, soprattutto nel lungo periodo. Allontana ancora di più i risparmiatori dal mondo bancario. E visto che la fiducia è già bassa…
C’è stato, ma meno di quanto si pensasse. E spesso è circoscritto alle zone dove c’è una crisi in corso, pubblicizzata dai media (Popolare di Vicenza, Veneto Banca, ecc…). Gli italiani però non cambiano, anche se oggi è molto facile. Non si capisce perché sia così (ma l’immobilismo italiano è atavico, e non solo in ambito bancario…). Siamo sempre un po’ succubi (sbagliando) dell’istituto bancario.
Illusione su cui sarebbe meglio svegliarsi. Niente tornerà come prima. Viviamo in un mondo completamente diverso. Mondo a crescita lenta, rendimenti finanziari lenti. Impossibile investire a certi tassi del passato.
Il vecchio modello di banca non funziona più. Le filiali costano, come il personale. Ed i clienti le frequentano sempre meno. Un sistema anacronistico e sempre più in difficoltà (dati di Milano Finanza). Nuovo business bancario su due colonne portanti. Tecnologia e relazione. I clienti richiedono velocità operativa, servizi a portata di mano, semplici e fruibili quando e dove si vuole. Pagamenti digitali e sicuri. Tempo delle code in filiale per un bonifico è finito. Finito anche il fai da te negli investimenti. Certezze del passato spazzate via. Bisogna rivolgersi a consulenti preparati per dormire sogni tranquilli. E magari trovare rendimenti ideali anche nell’epoca dei tassi a zero. Il futuro è già qui. E forse salvare che non è già pronto oggi potrebbe essere inutile.
Siamo un sistema bancocentrico, il fallimento di una banca mette a rischio tutto il sistema. Ed anche l’intera economia. Siamo stati anche poco responsabili. Infatti abbiamo approvato la legge europea sul bail.in avendo già banche in difficoltà. E la situazione, quindi, è chiaramente precipitata in fretta. Tutti hanno diritto di chiedere alla banca di cambiare. E’ una rivoluzione ineluttabile. Rimarranno pochissimi grossi istituti.
Almeno di questi 350 è previsto che ne restino solamente due, attraverso accorpamenti ed acquisizioni varie. Il grosso nodo della rivoluzione bancaria è il troppo personale, soprattutto in Italia. Stessa cosa nell’editoria. Ci sono molte, troppe pià persone di quante ne siano necessarie per i business digitali. La partita è doppia. Da un lato, affrontare la rivoluzione ed offrire prodotti più moderni. Dall’altro, fare queste cose riducendo il personale. Ancora, trasformare lo sportellista in un consulente vero.
L’accorpamento in teoria dovrebbe portare a riduzione degli oneri. Purtroppo il sistema bancario è come lo stato: esita a spendere per innovare. Discorso totalmente sbagliato. Allontana ancora di più i clienti, e riduce il tasso di fiducia. E’ un peccato, perché ci sono tanti soldi da poter investire. 4000 miliardi, per la precisione (ricchezza del risparmio italiano). E’ su questo che le banche dovrebbero lavorare. Dovrebbero realizzare prodotti nuovi che vadano ad aiutare le famiglie italiane a pianificare meglio il loro futuro.
Certamente. Costi rimasti ad anni fa, e non più sostenibili. Ci guadagnano solo le banche d’affari e d’investimento. Costi parametrati a banche che valevano 10 volte di più. Certe fee, certi costi non sono più accettabili. Si deve guadagnare facendo più operazioni, MA con maggior valore per singola operazione. Ed ancora non si è parlato di Basilea 4, con aumenti di capitale ancora maggiori (per tutte le banche).
I maggiori otto istituti italiani hanno registrato utili in calo del 69% nel nove mesi del 2016 a causa di maggiori rettifiche sul credito e bassi margini di interesse. Il mondo delle trasformazioni, forse, è appena cominciato, e coinvolge tutti.
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