La crisi economica scatenata dalla epidemia di coronavirus rischia di penalizzare ulteriormente la futura pensione degli italiani. Perché il crollo del PIL atteso quest’anno andrà a incidere sul tasso di sostituzione utilizzato per calcolare l’assegno mensile. Stime di mercato indicano un taglio fino al 6,7% che vorrebbe dire 67 euro in meno al mese rispetto a una pensione attesa di mille euro, 134 euro in meno per chi fino a oggi si aspettava 2.000 euro mensili.
La crisi che si è appena aperta va ad aggravare ulteriormente una situazione già di per sé difficile. Il nostro Paese è alle prese con cambiamenti strutturali che non rendono sostenibile il sistema pensionistico che ci ha accompagnato negli ultimi decenni. Un esempio è il progressivo invecchiamento della popolazione, un altro è la situazione dell’economia che, già prima della pandemia, registrava ritmi di crescita molto deboli. La verità è che tutte queste dinamiche sociali ed economiche sono difficili da controllare e questo crea grande incertezza nella stragrande maggioranza degli italiani in merito a quella che sarà la loro pensione pubblica. L’unico antidoto a questa incertezza è costruirsi una pensione integrativa.
Oggi le carriere sono molto più discontinue rispetto al passato, negli ultimi lustri abbiamo assistito infatti a diverse recessioni e allora non resta che attrezzarsi in proprio, iniziando quanto prima a pensare al proprio benessere futuro. Non è necessario accantonare grandi somme di denaro: anche piccoli risparmi mensili possono contribuire a creare negli anni un capitale importante, come spiega Paolo Galvani, Presidente e Co-fondatore di Moneyfarm.
La previdenza integrativa è una forma di risparmio flessibile, modulabile in base alle proprie disponibilità nei diversi momenti della propria vita. È inoltre agevolata dal legislatore: è possibile dedurre dal proprio reddito oltre 5 mila euro all’anno, risparmiando così sulle imposte da pagare. Sul montante accumulato vi è poi un prelievo fiscale massimo del 15% e minimo del 9%: quanto più a lungo si resta investiti, tanto meno si paga. Infine è agevolata la tassazione sui rendimenti: si paga il 20% anziché il 26%, che è l’aliquota ordinaria sui rendimenti finanziari. Tutti questi risparmi, considerati in un lungo arco di tempo come è quello tipico della previdenza complementare, consentono di incrementare in maniera sensibile l’assegno pensionistico.
Queste agevolazioni rendono la previdenza complementare un’opportunità sia per i lavoratori autonomi che devono costruirsi da soli la propria posizione previdenziale, sia per quelli dipendenti, come alternativa o integrazione del Trattamento di Fine Rapporto. Quest’ultimo è legato infatti alla retribuzione annua e all’inflazione e viene tassato secondo le aliquote ordinarie dell’IRPEF.
Al di là delle agevolazioni fiscali, destinare il TFR alla previdenza complementare consente di beneficiare della naturale tendenza a crescere dei mercati finanziari su orizzonti temporali di lungo periodo. Alla prospettiva di maggiori rendimenti si aggiunge poi la flessibilità: il fondo pensione non è vincolato per tutta la vita lavorativa; ci sono sempre vie di uscita in caso di necessità.
La materia è senza dubbio complessa soprattutto per i non addetti ai lavori e in continua evoluzione. Di certo c’è che stiamo andando verso pensioni sempre più magre, per cui sarebbe opportuno attivarsi sin da subito per fare le scelte migliori.