Banche. Rincari all’orizzonte. E l’efficienza? | Mercati Che Fare

Il mondo delle banche cerca un nuovo assetto, ma la ristrutturazione pesa sulle tasche dei correntisti. Serve maggior efficienza in banca come negli investimenti, e l’evoluzione del capitalismo italiano passa anche dai PIR. In studio il Professor C. A. Carnevale Maffè della SDA Bocconi.

Sono aumentati i costi dei conti correnti. Pure di quelli online

Accelerazioni da F1 sul circuito bancario. Aumentano i costi sull’operatività, e svaniscono i bonus. Esempi? E’ sempre più raro, oggi, trovare una banca disposta a sobbarcarsi l’onore dell’imposta di bollo al posto del cliente. E’ sempre più diffuso che un cliente paghi fino a 35 euro per operare allo sportello.

I tassi a zero (in verità sempre più sotto zero) continuano a pesare sui conti degli istituti bancari, e questo continua a pesare sui correntisti, nessuno escluso. Nulla di nuovo sotto il sole, quindi. Ma con una novità. Questa raffica di aumenti stavolta tocca anche ai conti online. I prelievi ATM non sempre saranno indolore. Potranno costare da 80 centesimi fino a 1,90 €. Anche l’opzione canone zero non mette al riparo dai rincari delle operazioni aggiuntive. Un bonifico allo sportello può costare in media fino a 4 euro. Alla stessa cifra può arrivare un estratto conto cartaceo.

Tagliare il traguardo della convenienza quindi non sarà facile per il risparmiatore italiano. Aprirsi al cambiamento e fare attenzione all’indice sintetico di costo potrebbe essere la cosa migliore da fare.

Sono diventati tutti matti? Cosa sta succedendo?

Semplicemente, devono trovare i soldi per pagare una struttura che è diventata obsoleta. L’italia, con la Germania, ha il rapporto costi/ricavi delle banche tra i più alti d’Europa. Ed infatti anche le banche tedesche non se la passano benissimo…

Il margine di intermediazione, che è il mestiere della banca, si è ridotto. La motivazione è duplice: da una parte ci sono i tassi molto bassi della BCE; dall’altra, i volumi ed i tassi d’interesse di mercato rendono di meno. DI conseguenza, rimangono solo le commissioni, ossia il pagamento per l’uso dei servizi bancari, per fare cassa.

E’ un modello distributivo che non sta più in piedi. Non abbiamo più bisogno di tante filiali. Abbiamo bisogno di un modello di dialogo misto, tra tecnologia e persone. E basta così tanti uffici.

Non c’è da illudersi. Le banche che, con la ripresa economica in parte hanno risolto i loro problemi, non hanno ancora risolto i loro problemi economici. Devono cioè far quadrare il conto economico, non solo lo stato patrimoniale.

Cosa deve fare, quindi, un risparmiatore?

Scegliere una banca efficiente, per avere servizi a prezzi di mercato, quindi onesti. Le banche efficienti sono quelle che hanno profondamente strutturato il loro modello operativo e distributivo. O sono nate come tali. E Spesso, purtroppo, l’online serve a coprire il malfunzionamento dell’offline.

Quanto durerà ancora il processo di trasformazione delle banche? E quanto sarà cruento?

Ci sono due fenomeni da analizzare. Uno è il consolidamento, propugnato dalle autorità europee. Banche più grandi, ma più leggere, e molto, come struttura. L’altro è la sostituzione tecnologica, il fintech. La tecnologia finanziaria ripensa profondamente il ruolo degli intermediari finanziari. Oggi sono persone; domani saranno software, robot, algoritmi. Il fintech preme sull’efficienza bancaria, erodendo i margini di intermediazione. Le banche che vanno, ed andranno meglio, sono quelle nate, od adattate, a modelli diversi dai tradizionali.

Non più sportelli bancari, ma uffici di consulenza…

Certamente per l’asset management. Serve rapidità ed efficienza a bassi costi. Adesso arriverà anche la MIFID II che porterà ulteriore trasparenza, anche sulle commissioni dell’asset management. L’Europa ci ha dato la trasparenza, adesso tocca a noi scegliere la banca giusta.

Il sistema bancocentrico è in crisi ed in discussione. Ed anche le imprese ne hanno sofferto, e non poco…

Il credito alle imprese si è ristretto notevolmente, sia a causa delle banche stesse (crediti deteriorati) che delle imprese. Fortunatamente, sembra davvero che il livello degli NPL si stia restringendo, ed è chiaramente una buona notizia, patrimonialmente parlando. Un’altra cosa è che le banche riescano davvero a selezionare le buone imprese, perché le competenze non sono cambiate, nel frattempo. Scegliere le giuste imprese da finanziarie richiede competenze che si sono disperse, mentre i bancari invecchiavano.

L’Europa sta spingendo verso il rinnovamento deciso in questo campo, soprattutto con la Capital Market Union. Il progetto prevede il dimezzamento dello spazio di intermediazione bancario, facendo molto più spazio a private equity e venture capital. Quindi, il focus sarà su investimenti non a breve, ma di lungo periodo. Bisogna “allungare le code” dfel capitale per le imprese: farlo partire molto prima, ed allungarlo nel tempo.

Un po’ è anche responsabilità dei risparmiatori, che non sono stati educati ad evolversi. Conveniva a tutti mantenerli diseducati.

Se non si fa così, succederà anche di peggio…

Altro che Made in Italy. Il 75% dei marchi del nostro Paese è in mano agli stranieri. Di pochi giorni fa è la notizia dell’acquisizione di Acetum SpA da parte di ABF, il colosso inglese che possiede il tè Twinings. Solo per l’agroalimentare, sono stati venduti marchi per 10 miliardi di euro.

D’altra parte, le acquisizioni di nostre aziende da parte di società estere non si limitano all’agroalimentare. Sono coinvolte anche le aziende di punta del settore dell’industria, della moda, della telefonia, dell’elettrotecnica e dell’elettromeccanica. I saldi all’italiana, che negli ultimi anni hanno portato quasi 500 marchi del Bel Paese all’estero, non accennano a fermarsi. Nel primo semestre di quest’anno ci sono state già 132 acquisizioni da parte di aziende straniere, per 9,7 miliardi di euro.

La bandiera italiana può tornare a garrire grazie al risparmio, però…

Purtroppo, invece, è parcheggiata lì, nei conti correnti, nelle scelte a breve, per paura e disinformazione. E smettiamo di dire che le aziende europee sono straniere. Siamo in un mercato unico da decenni; il nazionalismo economico non torna ed è dannoso.

L’imprenditore che ha bisogno di crescere, se non trova capitali qui, è giusto che li cerchi fuori. E’ responsabilità del capitalismo e del risparmio italiano non aver fornito questi capitali. E poi c’è da dire che le grandi multinazionali non offrono solo capitali. Hanno anche processi, tecnologie, capacità di governance.

Il problema vero dei risparmiatori italiani è che che cosa NON fanno con i loro soldi.

Si parla tanto di “effetto PIR”. Potrebbero rappresentare i PIR una leva forte per il mondo dell’impresa?

Dovranno rappresentare una svolta fondamentale nell’allocazione del risparmio. Mettere i soldi in BTP e/o obbligazioni bancarie è totalmente controproducente. Invece, l’impresa italiana sta crescendo, ed i dati economici lo confermano.

Bisogna migliorare l’educazione al risparmio, ed i PIR sono lo strumento per farlo, anche se, come molte cose, da noi sono tardivi. Il risparmio non va indirizzato solo verso le banche e verso lo Stato, tutt’altro.

L’industria del risparmio gestito italiano deve però capire che investire nelle PMI richiede competenze specifiche. E’ essenziale, come detto, allungare l’orizzonte temporale dei nostri risparmi.

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