I PIR italiani e quelli francesi sono molto diversi. La prima diversità è il messaggio politico che viene dato dello strumento. Questo perché per l’Italia si è preferito parlare di sostegno alla piccola e media impresa italiana. Per quanto riguarda la Francia, invece, il focus è stato sull’educazione dell’investitore ad una visione di medio-lungo termine.
E’ anche differente il focus dell’area geografica. Per l’Italia, è eminentemente la nazione stessa. Per quelli francesi, invece è l’Unione Europea; quindi si tratta di un investimento molto più allargato. In Italia, inoltre, c’è l’obbligo di investire obbligatoriamente sulle PMI (per il 70%), che invece in Francia è previsto, ma non è obbligatorio.
Quindi, sono molto diversi. Ciò che li accomuna, grazie alle linee guida del MEF emerse recentemente, è la possibilità di fare rotazione di portafoglio. Questo fatto prima era precluso in Italia; sarebbe stato un limite forte agli investimenti in PIR, e per fortuna è stato rimosso.
]]>Il più comune riguarda l’investimento in ETF complessi, quali quelli short od a leva, od a quelli che investono in commodities. Gli investitori privati si avvicinano, spesso, a questo tipo di prodotti senza avere le necessarie conoscenze. Ad esempio, si aspettano che un ETF a leva 2 replichi perfettamente il doppio della performance del sottostante. Questo, ovviamente, non avviene, per tanti motivi, il principale dei quali è l'”effetto composto” (compounding effect).
Per quanto concerne le commodities, può capitare che l’ETF non investa direttamente nel bene fisico, ma nel future del medesimo; subentrano quindi problemi legati al contango, ovverosia la situazione di mercato dove il prezzo del momento è inferiore ai prezzi futuri, impliciti nei corrispondenti contratti futures.
L’investitore, molto spesso, non è a conoscenza di queste cose. Il consiglio è di informarsi molto, molto bene prima di avvicinarsi a questi strumenti.
Altri errori più comuni sono legati al trading degli ETF. Molti investitori scambiano la liquidità di un ETF con quanto scambia in borsa, il cosiddetto turnover. In realtà la liquidità è legata ad altri fattori (bid/ask medio, profondità del book); questo porta alcuni investitori a non comprare ETF perché non li vedono scambiati e quindi li credono illiquidi.
Altro errore comune è non inserire un limite di prezzo quando negoziano e, soprattutto, operare nei primissimi minuti di apertura delle borse. E’ sempre meglio aspettare qualche minuto perché tutti gli operatori del mercato usano i primi minuti per settare le offerte. L’investitore privato non dovrebbe mai andare a “mercato libero”, proprio per questi motivi.
La gamma si è estesa molto, però questa evoluzione c’è stata principalmente per soddisfare le richieste del mercato. Soprattutto per gli investitori istituzionali. Non ci si attende tanto un’evoluzione di prodotto, quanto piuttosto un’evoluzione dell’utilizzatore. Ad esempio, in Europa gli ETF sono quasi del tutto istituzionali; in America, i retailers sono molto più attivi. Gli ETF nei fondi privati sono il 3% in Europa, oltre il 20% in America. Se ci avvicinasse anche solo della stessa percentuale oggi presente alle percentuali americane, la crescita sarebbe ancora enorme per questo mercato. Anche in termini di masse, il mercato europeo degli ETF è meno di un quarto di quello USA.
Ci si aspetta quindi che la rivoluzione normativa e tecnologica che si sta osservando, stimolerà ulteriormente il mercato e porterà ad ulteriore crescita.
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