Come sta cambiando il mondo bancario in Italia, dalla digitalizzazione alle nuove normative. In un sistema complessivamente stabile, le banche non sono tutte uguali e il risparmiatore deve saper fare una scelta consapevole. Si può ancora investire nel paese Italia?
Ne parla Leopoldo Gasbarro con Antonio Patuelli, presidente dell’ABI, l’Associazione Bancaria Italiana.
Mercati che fare è una trasmissione di Leopoldo Gasbarro per TGcom 24.
Nell’immaginario collettivo, la banca è sempre stata il posto sicuro. Sicuro per chi depositava i propri risparmi ed oggetti di valore. Sicuro per chi iniziava e concludeva la carriera lavorativa tramandando spesso il proprio impiego ai figli. Ma negli anni qualcosa è cambiato.
“Eravamo 4 amici al bar, che volevano cambiare il mondo, destinati a qualche cosa in più che una donna ed un impiego in banca”. Così cantava Gino Paoli nel 1991. Già il posto fisso diventava poco stimolante per gli italiani.
In quasi 20 anni, le banche sono completamente cambiate, e con esse i bancari. Il posto in banca, una volta considerato un miraggio, oggi sembra essere diventato fonte di stress. Lo spiega Massimo Gramellini sul Corriere della Sera in un articolo dal titolo “Stressato come un bancario”.
La crisi e la rivoluzione digitale hanno cambiato completamente le regole del gioco. Ciò che prima era garanzia di solidità, oggi non lo è più. Anche chi lavora all’interno degli istituti di credito comincia a chiedersi sempre più frequentemente come orientare le proprie scelte professionali, e quale sarà il proprio futuro.
Le trasformazioni sono state antecedenti. Prima le banche erano “pubbliche”, banche “di Stato”. Quando c’erano problemi di stabilità, interveniva lo Stato con i propri “fondi di dotazione” a ripianare i problemi.
A inizio anni ’90 c’è stata la prima grande privatizzazione. Tutte le banche sono diventate private. Nel 1993 è entrato in vigore il Testo Unico Bancario, che ha sostituito la Legge Bancaria del 1936. Dal 1993 le banche sono diventate imprese, tutte in concorrenza tra di loro. Quindi ci sono quelle che vanno bene, quelle che vanno mediocremente, e quelle che lo fanno male.
]]>I risparmiatori italiani verso una nuova cultura finanziaria, dai Titoli di Stato al Risparmio Gestito, fino ai nuovi Piani Individuali di Risparmio. L’importante ruolo della consulenza. A Mercati Che Fare, Leopoldo Gasbarro intervista Paolo Zucca, vice caporedattore del Sole 24 Ore.
Ci sono tantissime componenti. La conservazione dei comportamenti gioca molto a sfavore in questo caso. Ci sono anche altri comportamenti di scarsa lungimiranza dei risparmiatori.
Ogni famiglia deve pensare ai figli, e magari anche alla pensione complementare. Deve insomma seguire il ciclo di vita. Si fa molta fatica a spiegare agli italiani questo comportamento attivo.
Anche le banche hanno incentivato il passaggio dai titoli di stato al risparmio gestito. È una scelta coerente e corretta. Aiutata, ma giusta. Se si hanno plusvalenze fatte in epoche passate, e che oggi non rendono più, è giusto cambiare ed andare verso rendimenti (potenzialmente) migliori.
Prendiamo per buono questo senso di prudenza. Troppa prudenza, però, può fare male, meglio ricordarlo. I soldi vanno investiti in maniera corretta, secondo le proprie esigenze e stili di vita. Occorre quindi dedicare del tempo ad una pianificazione corretta e ad un attento uso del proprio denaro.
Lasciarlo immobile non vuol dire necessariamente salvarlo. Certe volte vuol dire perderlo pian piano e non accorgersene. Occorre che il risparmiatore abbia una versione attiva, che sappia cogliere le novità e sappia esaminare cosa succede sui mercati. È un comportamento che presuppone un certo impegno. E questa è forse la cosa più difficile.
]]>Il “Non si sa Mai” influenza la gestione del risparmio degli Italiani. Ci si protegge nella maniera più corretta? Che tipo di protezione del risparmio usano gli italiani? Quanto conta l’emotività nelle scelte di risparmio e di protezione di tutto quello che siamo capaci di costruire? Parecchio, come emerge dalla conversazione tra Leopoldo Gasbarro e Paolo Legrenzi, docente Emerito di Psicologia Cognitiva all’Università Ca’ Foscari di Venezia, nella rubrica di TGcom24 Mercati Che Fare.
I risparmi generano emozione perché nel risparmio si incorpora la fatica che quella persona ha fatto per accumularlo.
Esatto. In realtà l’emotività deriva da questa storia che c’è dietro il risparmio e che coinvolge la vita stessa della persona. Paradossalmente, se ci importasse meno dei nostri risparmi saremmo dei migliori investitori, sarebbe molto più facile gestirli.
Un breve servizio a cura della redazione illustra le quattro voci che compongono il nostro patrimonio e determinano quindi il nostro valore complessivo: investimenti a breve termine, investimenti a medio e lungo termine, immobili, capitale umano.
Quanta importanza riservano gli italiani alle singole voci?
L’immobile è una priorità. Oltre il 70% delle famiglie è proprietaria dell’abitazione in cui vive.
Quanto ai beni mobiliari, più della metà dei risparmi sono detenuti in forma liquida o semi-liquida, quindi in investimenti con orizzonte temporale di breve termine. Perché si sceglie la liquidità rispetto a un investimento a lungo termine? Si tratta di una gestione fai da te del cosiddetto “non si sa mai”.
Ma è giusto congelare il risparmio a breve termine in vista di possibili imprevisti futuri?
Bisognerebbe comprendere l’importanza del nostro capitale umano. Se in primis non ci assicuriamo di proteggere il nostro valore ed i nostri beni, rischiamo di vanificare anche tutti i benefici di una corretta pianificazione finanziaria. Risparmio e protezione sono quindi due tematiche fondamentali nella nostra vita, che non possiamo permetterci di affrontare con superficialità.
Come spiega Paolo Legrenzi, la cultura italiana valorizza il risparmio e la prudenza, ma la strategia del fai da te ci ha fuorviato, spingendoci a bloccare le liquidità in chiave di protezione rispetto al “non si sa mai”. A incidere è anche il cosiddetto “home bias”, cioè il privilegiare, nella gestione del risparmio, ciò che conosciamo bene. La giusta prospettiva? Puntare invece sulla protezione della persona umana, da considerare come precondizione del risparmio.
Esistono due scienze il cui obiettivo è aiutare il risparmiatore a controllare la propria emotività. La prima è la finanza comportamentale, che analizza le dinamiche psicologiche ed emotive alla base delle decisioni economiche. La seconda è l’assicurazione comportamentale, che studia la percezione soggettiva del rischio.
Prima di tutto, spiega ancora Paolo Legrenzi, bisogna tenerlo in considerazione: spesso ci si concentra su altro, nonostante il capitale umano sia al centro di tutto. Il valore di una persona è un dato fatto da diverse componenti, non tutte omogenee. C’è il risparmio, ma non solo: ne fanno parte anche tutti gli altri aspetti a cui la persona tiene molto, come la salute. Per valutare correttamente il proprio capitale umano, il proprio valore intrinseco, il fai da te è rovinoso: bisogna affidarsi a un consulente. La visione esterna e il panorama ampio sono fondamentali.
]]>Indirizzare gli investimenti delle famiglie a sostegno delle imprese. Il vantaggio per chi investe? Tasse azzerate sugli utili. Tutte le specifiche da F.Pagani, capo segreteria Ministero Economia e Finanze e fautore dei Piani Individuali di Risparmio(i PIR).
Leopoldo Gasbarro conduce “Mercati Che Fare“ per TGcom24.
Parlaimo dei PIR, i piani individuali di risparmio. Se ne parla tantissimo in queste ultime settimane. Ed anche qui abbiamo trattato l’argomento. Oggi però lo facciamo con il padre putativo dello strumento. Si tratta di Fabrizio Pagani, capo segreteria tecnica del Ministero Economia e Finanze.
I PIR sono strumenti finanziari studiati dal governo per indirizzare gli investimenti delle famiglie a sostegno delle PMI italiane. Questi i vantaggi fiscali per i sottoscrittori.
Per godere del beneficio fiscale, il piano deve avere una durata minima di 5 anni. L’importo annuo massimo sottoscrivibile è pari a 30.000 euro. Il valore totale del piano può essere al massimo di 150.000 euro.
Per legge, il portafoglio del PIR dovrà contenere per almeno il 70% strumenti finanziari emessi da aziende italiane od europee con organizzazione stabile in Italia. Di questo 70%, almeno il 30% deve essere investito in titoli non presenti in Borsa Italiana (quindi non quotati).
Noi siamo partiti dal concetto che le nostre imprese hanno grande capacità. Grande capacità di trovare nuovi prodotti e nuovi mercati. Hanno capacità di innovazione, di andare all’estero e di essere estremamente competitive. Però hanno qualche debolezza. Una di queste, la principale, è l’assenza di capitale. Sono cioè imprese che rimangono troppo piccole, che non hanno fondi propri sufficienti. Quindi non possono investire né fare acquisizioni per aumentare la propria massa critica.
Esatto. C’è un tema anche di credito. Ma ce n’è anche uno ancora più importante, più filosofico e concettuale. Spostare il finanziamento dell’impresa dal credito tradizionale a forme più sofisticate di accesso al mercato dei capitali. Le nostre imprese devono andare su questi mercati, quali che siano, per avere i fondi necessari allo sviluppo.
Già avviene, ma non in misura sufficiente. E questo anche perché il nostro mercato dei capitali non riceve sufficienti risorse dal mercato del risparmio italiano. Il risparmio degli italiani è immenso (oltre 4000 miliardi). Fino ad adesso mancava uno strumento che facilitasse, e desse un riconoscimento fiscale, per aiutare questa canalizzazione alle imprese italiane. i PIR sono questo.
]]>PIR: economia reale, orizzonte di medio-lungo termine e soprattutto un fisco più amico attraverso le incentivazioni. Queste le tre leve su cui punta il governo per attrarre i risparmiatori e ridare linfa alle imprese italiane.
Leopoldo Gasbarro intervista il Prof. Ruggero Bertelli, docente di economia degli intermediari finanziari presso l’Università di Siena.
Mercati che Fare è una trasmissione di TGcom24, condotta da Lepoldo Gasbarro.
I numeri degli impatti fiscali sul risparmio, purtroppo, non sono positivi.
I rendimenti sugli investimenti, in Italia, non sono minacciati solo dai tassi ai minimi. Anche dalla fiscalità, che incide sempre di più sulla remunerazione. Parte del nostro patrimonio personale arriva nelle tasche del fisco tramite le poste di bollo applicate sui conti correnti. Ma anche sui conti deposito, od attraverso la tassazione delle plusvalenze.
Il risparmio, in questi ultimi anni, è stato al centro di molte manovre finanziarie. Dal 2014 la tassazione sulle rendite finanziarie è passata dal 20 al 26%. L’eccezione sono i titoli di stato, che hanno mantenuto un’aliquota del 12,5%. Successivamente è aumentata anche la tassazione sui fondi pensione, passata dall’11,5% al 20%. Scelte che hanno spinto gli investitori verso strumenti caratterizzati da un investimento molto contenuto, ma con imposizione fiscale più permissiva. Il tutto a discapito, ovviamente, della diversificazione di portafoglio, e di una corretta pianificazione finanziaria. Quest’ultima dovrebbe rispondere alle esigenze del risparmiatore stesso, e non solo alla convenienza fiscale dello strumento scelto.
Fisco e risparmio vanno un po’ a braccetto nell’ultimo periodo…
Fisco e scelte del risparmiatore, per lo più. L’incentivo e/o il disincentivo fiscale spesso fa fare al risparmiatore scelte che possono essere più o meno corrette. Questo perché guidate da un numeretto. Magari è meglio pagare il 26% sul 15% del rendimento che il 12,5% sull’1%.
E’ una banalità, ma è importante ricordare che la dimensione fiscale dell’investimento sia da considerare, ma dopo aver fatto le scelte corrette per le nostre esigenze di investimento. Non possiamo cambiare la nostra esigenza perché cambia l’aliquota fiscale. Dobbiamo ottimizzare l’esposizione fiscale. Ma dobbiamo farlo in funzione della chiarezza dei nostri obiettivi e delle nostre esigenze.
]]>Proteggere il capitale umano, la capacità di produrre reddito, sono i primi passi per mettere al riparo da ogni rischio i nostri obiettivi di vita. Protezione e consulenza personalizzata sono le uniche soluzioni per assicurare il proprio futuro e ritrovare la sicurezza.
Leopoldo Gasbarro intervista Massimo Esposti, giornalista de Il Sole 24 Ore, per Mercati che Fare di TGcom24.
Tutti i punti fermi che hanno rappresentato i pilastri del risparmio delle famiglie italiane si sono andati sgretolando. Dalla grande ondata della crisi del 2008 abbiamo visto sempre più risparmiatori agire con una mentalità difensiva. E facendo questo hanno commesso degli errori. Quando c’è incertezza si tenta di mettersi al riparo. Ma quando si fa così, bisogna scegliere bene i ripari stessi.
Sicuramente analizzando con chi si ha a che fare, a chi si affidano i propri soldi. Negli anni passati c’era un rapporto di assoluta fiducia nei confronti delle banche. Fatti fortemente drammatici hanno dimostrato che non è (più) così. La banca è un’azienda che lavora con il denaro. Deve garantire una certa sicurezza. Deve essere in grado di trasmettere, attraverso la trasparenza, che cosa sta facendo.
Un tenore di vita più alto, una casa più grande, un percorso di studio migliore per i nostri figli, una pensione serena. Quanti sono gli obiettivi che nel corso di una vita mettiamo in cantiere? Obiettivi importanti, che per essere raggiunti richiedono tempo, impegno e abilità nelle gestione delle risorse economiche presenti e future.
E’ infatti la nostra capacità di generare reddito, il nostro capitale umano, che determinerà ciò che saremo domani. Quantificarlo oggi è possibile, calcolando in base ai redditi correnti i redditi futuri producibili fino alla pensione. Un valore importante che non possiamo sottovalutare. Anzi, dobbiamo impegnarci a proteggerlo, mettendolo al riparo dai mille rischi, economici e non, che la vita può riservarci. Rischi che possono modificare anche radicalmente la nostra situazione economica presente e futura.
]]>Consulenza finanziaria: il 2017 sarà l’anno della svolta? La complessità dei mercati e i tassi negativi costringono i risparmiatori a cercare sempre più soluzioni alternative per ottenere rendimenti. Cambia l’approccio al risparmio e cresce il bisogno di consulenza. Ne parla Leopoldo Gasbarro con Luigi Conte, vice presidente vicario di ANASF, l’associazione che raccoglie i consulenti italiani.
Mercati Che Fare è una trasmissione condotta da Leopoldo Gasbarro per TGcom24.
Certamente sarà un anno importante. Da parte del mercato c’è un’attenta richiesta di supporti di consulenza. In un mercato di tassi a zero, si chiedono al consulente non tanto rendimenti, quanto soluzioni. Le soluzioni provengono da un confronto costante sulle esigenze e sulle aspettative.
Cambia culturalmente l’approccio al risparmio. I tassi a zero, in questo, hanno aiutato tantissimo. Hanno stimolato il consulente in termini culturali. L’hanno stimolato a migliorare la proposta, a renderla funzionale al confronto. Sta migliorando moltissimo l’approccio dell’utenza, che cerca di confrontarsi sulle soluzioni. Soluzioni che riguardano la vita quotidiana dell’utente.
Clienti di banche tradizionali sempre più preda delle reti. Un trend in corso non solo frutto dell’entrata in vigore del bail-in. E’ vero che le banche-reti sono sempre state meno esposte alla crescita delle sofferenze, e che presentano migliori livelli di solidità patrimoniale. E’ stata la complessità dei mercati, aggravata dai tassi negativi, a decretare la fine del fai-da-te. Si va quindi sempre più verso una figura di supporto, qualificata e professionale.
Quanti sono i consulenti finanziari in Italia? A fine 2015, erano 54490. +2,8% rispetto al 2014. Numero destinato ad aumentare. Questo perché la competitività di una banca si dovrà sempre più misurare anche con la qualità del servizio di consulenza offerto. Il dato più significativo è il patrimonio consegnato dai risparmiatori alle reti. A giugno 2016 era pari a 438,4 milioni di euro, record storico.
Il risparmio degli italiani supera i 4 trilioni di euro. 1 miliardo è depositato sui c/c a rendimento nullo. I consulenti hanno quindi un enorme spazio per crescere.
]]>Natale e la sua economia. Enrico Bartolini, chef di livello internazionale con due stelle “Michelin”, ci racconta la sua esperienza di imprenditore in Italia e all’estero, e quale sia la ricetta giusta per il successo. Il ristorante di Bartolini è al Mudec di Milano.
Mercati che fare è una trasmissione di Leopoldo Gasbarro per TGcom24.
Stile italiano e gastronomia stanno crescendo molto. Milano come città ne è un grande esempio. Molte aperture negli ultimi due anni. Trasformazione di molti locali da gestioni più “antiche” in ristoranti all’avanguardia. A tavola si fanno molti affari. Italia simbolo nel mondo con la propria tavola, sia come piatti che come prodotti.
La ricetta rimane sempre gastronomica. Grandi ingredienti, saperli trasformare con costanza. Magari variando il menù, ma certamente mantenendo inalterata la qualità e la costanza. Quindi, ingredienti primari, che stimolino industria e contadini a fare bene, ed a produrre prodotti di qualità. La tavola richiede una buona compagnia, un sorriso, e poi siamo quello che mangiamo.
La passione per il buon cibo non tramonta mai. La cucina piace, e non solo a tavola, ma anche in TV. Attira l’attenzione di un pubblico sempre più vasto. I consumatori si appassionano, acquistano libri, cercano su Internet. Per trasformare la passione in business la regola è sempre la stessa, non affidarsi all’improvvisazione. Se qualità e coraggio non bastano a farci chef stellati, anche per la gestione del nostro patrimonio non possiamo lasciare che sia il caso a guidarci.
In cucina un piatto ben riuscito è la miscela di più ingredienti mixati insieme correttamente. Anche la ricetta del rendimento passa dal giusto mix di investimento. Un portafoglio ben diversificato che investe in tutte le borse mondiali è la risposta concreta per minimizzare i rischi di un mercato sempre più imprevedibile.
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