“Abbiamo vissuto un’era neoliberale negli ultimi 40 anni, e quell’era sta per finire”, dice Sitaraman, aggiungendo che le idee e le politiche che hanno definito il periodo sono state messe in discussione a vari livelli.
Quello che verrà dopo dipende se adotteremo un approccio proattivo e democratico per plasmare l’economia, o se semplicemente reagiremo e “affronteremo” i risultati del mercato.
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GANESH SITARAMAN:
Ganesh Sitaraman è professore di diritto e direttore della scuola di legge di Vanderbilt. È l’autore di The Great Democracy: How to Fix Our Politics, Unrig the Economy, and Unite America (Basic Books, 2019), il suo libro, The Crisis of the Middle-Class Constitution (Knopf, 2017), è stato nominato uno dei 100 libri degni di nota del New York Times del 2017, e della Costituzione del Controinsurgent: Law in the Age of Small Wars (Oxford University Press, 2012), che ha ricevuto il Premio Palmer 2013 per le libertà civili. Il professor Sitaraman è stato in congedo dalla facoltà di Vanderbilt dal 2011 al 2013, in qualità di direttore politico di Elizabeth Warren durante la sua campagna per il Senato, e poi come suo consigliere senior al Senato.
Consulta l’ultimo libro di Ganesh Sitaraman, The Great Democracy: How to Fix Our Politics, Unrig the Economy, and Unite America.
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Ho scritto questo libro, “La Grande Democrazia”, perché penso che siamo sul bordo di una nuova era nella storia americana. Penso che sia davvero importante che la gente capisca cosa c’è in gioco in questo momento. Dalla seconda guerra mondiale in poi, abbiamo vissuto due epoche distinte della nostra storia. La prima è stata dalla fine della guerra fino agli anni Settanta. E probabilmente è meglio descritta come un’era liberale.
E’ stata un’era di capitalismo regolato che ha operato tra il controllo statale che abbiamo visto in Unione Sovietica, e il sistema di libero mercato laissez faire che ha causato la Grande Depressione. Era un’era in cui il grande governo, il grande business e il grande lavoro lavoravano insieme per cercare di fornire beni sociali agli americani. E infatti, anche i conservatori durante quest’epoca erano fondamentalmente liberali. Eisenhower costruì il sistema autostradale. Nixon disse: “Ora sono un keynesiano in economia”. E poi è successo che abbiamo attraversato un periodo di crisi negli anni Settanta. Le guerre, gli shock petroliferi, la stagflazione. La fine di quest’era fu durante la presidenza di Jimmy Carter. I democratici controllavano completamente il governo, ma il partito era sempre più diviso, e non riuscivano a raggiungere molti dei loro obiettivi a lungo mantenuti.
La seconda era un’era definita dal neoliberismo ed emerse con Margaret Thatcher e Ronald Regan all’inizio degli anni Ottanta. Ora neoliberismo è una parola dura per molte persone. E penso che abbia molti significati per diverse persone. Ma in realtà ciò a cui si riduce in politica sono quattro cose: deregolamentazione, liberalizzazione, privatizzazione e austerità.
L’idea di base del neoliberalismo ha cominciato a emergere a metà del XX secolo. Era in parte una reazione al New Deal, e si muoveva per creare la democrazia sociale negli Stati Uniti e in altri paesi occidentali. E sotto il neoliberismo, l’idea di base è che gli individui sarebbero stati da soli. Sarebbero stati responsabili di se stessi. Così, invece di governi, corporazioni e sindacati che bilanciano gli interessi delle parti interessate, il principale regolatore degli interessi sociali sarebbe il mercato. E la conseguenza di questo si è rivelata, tuttavia, in realtà non è stato quello che molti dei sostenitori hanno sostenuto che sarebbe stato l’inizio, ovvero una maggiore concorrenza e una società più libera. In realtà, quello che abbiamo visto nel tempo è un aumento delle disuguaglianze, una riduzione delle opportunità per molte persone e un crescente consolidamento dei mercati. E in questo periodo, l’area neoliberale, anche i liberali erano neoliberali. È stato Bill Clinton a dire che l’era del grande governo è finita, e ha deregolamentato Wall Street e Telecom. Fu Tony Blair a trasformare il partito laburista in Inghilterra in New Labour. E ancora una volta, abbiamo poi affrontato le crisi. Le guerre, la grande recessione, i livelli massicci di disuguaglianza, la frattura sociale. E la fine di quest’area è la presidenza di Donald Trump. I repubblicani all’inizio di questo periodo controllavano tutto nel governo, e non riuscivano a superare alcuni dei loro obiettivi a lungo mantenuti. Anche il loro partito è sempre più diviso.
Quindi, dove penso che siamo ora è che abbiamo vissuto un’era neoliberale negli ultimi 40 anni, e quell’era sta volgendo al termine. Le persone stanno sfidando le idee neoliberali in molti modi diversi. Ci sono persone che la sfidano in politica, proponendo nuove idee politiche e idee politiche coraggiose per plasmare le regole in modo diverso. Ma ci sono anche persone che sfidano le idee neoliberali nella loro vita e nel settore privato. Pensando alle imprese in modo diverso, pensando di avere lavoratori nei consigli di amministrazione delle imprese. Pensare agli obiettivi delle aziende come se fossero più ampi rispetto all’espansione dei profitti per gli azionisti. Ma in realtà avere un bene sociale e altri tipi di benefici sociali e pubblici.
Parte del modo in cui andiamo oltre il neoliberismo è vedere che ci sono altri modi di pensare all’economia, e riconoscere che le nostre scelte democratiche danno forma all’economia in primo luogo. E penso che questo sia il modo in cui andiamo avanti, è che dobbiamo vedere questo come una vera funzione della democrazia. In che tipo di società vogliamo vivere? Piuttosto che accettare passivamente il mercato e i suoi risultati come qualcosa di cui dobbiamo occuparci. Non dobbiamo farlo. Possiamo scegliere di avere una struttura diversa.
Quindi, ciò che accade in questo momento, in questo momento, potrebbe in realtà stabilire i termini della politica per una generazione. E questo è un insieme di grandi poste in gioco e di grandi scelte che sono sul tavolo per noi.
]]>L’Unione Europea svela i piani per un massiccio pacchetto di recupero
Ribadendo che la strada verso una ripresa economica globale dipende da tre fattori: la diffusione del coronavirus, l’entità dei danni economici causati dalle misure di contenimento del governo e l’efficacia della risposta politica globale – Ng ha osservato che la devastazione economica inflitta dalle misure per rallentare la diffusione del virus è stata senza precedenti. È importante notare, tuttavia, che la portata della risposta politica mondiale è stata anche senza precedenti, ha detto. L’ultimo esempio si è verificato il 27 maggio, quando il Giappone ha annunciato un ulteriore pacchetto di stimoli da 1,1 trilioni di dollari, ha osservato Ng. “Aggiunto alle misure di soccorso del Paese a partire da marzo, il pacchetto di stimolo totale del Giappone ammonta ora a circa il 40% del suo PIL annuo (prodotto interno lordo)”, ha dichiarato.
Anche l’Unione Europea ha fatto notizia lo stesso giorno, ha detto Ng, con la sua proposta di un piano di ripresa da 750 miliardi di euro. “Due terzi di questo pacchetto sarebbero costituiti da sovvenzioni e un terzo da prestiti”, ha dichiarato, aggiungendo che l’entità del pacchetto ammonta al 6% del PIL annuo della zona euro. Ng ha caratterizzato il pacchetto come un potenziale game-changer, se approvato, rilevando che rappresenterebbe una condivisione del rischio in tutta l’area dell’euro attraverso l’emissione di quelle che sarebbero note come Eurobond.
Gli eurobond, ha spiegato, sarebbero titoli di stato emessi dall’Unione Europea, piuttosto che dai singoli paesi della zona euro. Gli Eurobond sono stati proposti per la prima volta nel 2011, in mezzo alla crisi del debito europeo, ma non si sono mai concretizzati, ha detto Ng.
“C’è una certa opposizione a questo piano di ripresa, soprattutto da parte di alcuni degli Stati membri più parsimoniosi dell’UE, quindi le discussioni sul piano saranno un importante punto di osservazione per il progresso dell’Europa nel tentativo di stabilizzare la sua economia”, ha dichiarato.
Il ritmo delle richieste di disoccupazione negli Stati Uniti rallenta
Passando agli Stati Uniti, Ng ha detto che ci sono prove provvisorie che il mercato del lavoro americano ha toccato il fondo. Nelle ultime otto settimane, ha osservato, i nuovi crediti senza lavoro, pur essendo ancora a livelli straordinariamente alti, sono in calo. Inoltre, per la prima volta da quando, a metà marzo, sono state imposte ampie misure di contenimento, è diminuito il numero di richieste di indennità di disoccupazione che continuano a rappresentare le persone già beneficiarie di indennità di disoccupazione. “Questo è un segno che alcuni lavoratori stanno tornando al loro posto di lavoro, poiché le restrizioni di isolamento vengono allentate”, ha dichiarato Ng.
Ha spiegato che in un mondo privo di attrito, una pausa dell’attività economica dovuta a misure di contenimento comporterebbe solo una perdita temporanea, piuttosto che permanente, di posti di lavoro. Purtroppo il mondo reale non funziona così, ha detto Ng, a causa degli effetti secondari di queste misure. “Ad esempio, la fiducia dei consumatori può diminuire, il che potrebbe tradursi in una minore domanda di beni e servizi. Questo, a sua volta, potrebbe indurre le aziende a ridurre in modo permanente la loro forza lavoro e un mercato del lavoro in crisi potrebbe far deragliare ulteriormente la fiducia dei consumatori e la spesa”, ha spiegato.
In altre parole, ha detto Ng, la spirale di fiducia negativa provocata dalle perturbazioni economiche potrebbe trasformare uno shock temporaneo in uno shock duraturo con importanti implicazioni per l’economia, i profitti delle imprese, i mercati e i portafogli degli investitori.
La legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong scatena nuove tensioni tra Cina e Stati Uniti.
Passando alla Cina, Ng ha osservato che, dopo il successo della firma di un accordo commerciale di Fase 1 tra Stati Uniti e Cina a gennaio, le tensioni tra le due maggiori economie mondiali sono di nuovo in aumento. Questa volta, una delle questioni chiave riguarda il piano della Cina di imporre una legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong. La proposta, recentemente approvata dal governo cinese, è servita da scintilla per la dichiarazione del governo statunitense del 27 maggio, che ha dichiarato di non considerare più Hong Kong autonoma dalla Cina.
“Questa dichiarazione significa che le speciali esenzioni commerciali che gli Stati Uniti si sono ritagliati per la città di Hong Kong possono andare via. Inoltre, gli Stati Uniti potrebbero anche introdurre misure punitive contro la Cina”, ha spiegato Ng. Le rinnovate tensioni tra Cina e Stati Uniti potrebbero potenzialmente degenerare in un’altra guerra commerciale, ha detto, che sarebbe dirompente per le catene di fornitura globali, la spesa per gli investimenti e la fiducia delle imprese.
“Con le cose già su un terreno traballante a causa della pandemia di coronavirus, una ripresa delle tensioni commerciali potrebbe essere un colpo fatale per l’economia globale”, ha concluso.
]]>Black: Quindi, ci parlerai di tre aree del portafoglio su cui siete particolarmente positivi al momento. Da dove vuoi iniziare?
Cook: Sì. Quindi, visto il contesto attuale, pensiamo che un ottimo posto per gli investitori sia il settore dell’assicurazione sanitaria negli Stati Uniti. Siamo proprietari di quasi tutte le compagnie di assicurazione sanitaria degli Stati Uniti. Il motivo è che, fino ad oggi, tutti gli interventi chirurgici elettivi negli Stati Uniti che erano stati pianificati, non hanno avuto luogo in quanto tutte le strutture ospedaliere sono tutte concentrate su problemi di tipo coronavirus respiratorio. Ora, non pensiamo che tutti questi interventi elettivi ritornino, circa il 50% di essi non ritornerà. Quindi, le compagnie di assicurazione sanitaria hanno sottoscritto la loro attività assumendo un certo livello di costi, e i costi di questi interventi chirurgici elettivi che non si verificano saranno in realtà un ottimo fornitore di profitti per queste aziende.
Black: Non è un po’ una speculazione da accumulare perché poi la gente potrebbe tornare l’anno prossimo e i loro problemi saranno peggiorati ulteriormente?
Cook: Sì. Quindi, nel nostro lavoro facciamo un sacco di lavoro cercando di capire quale sia esattamente la natura di queste operazioni. Queste procedure elettive sono esattamente questo, sono elettive. Non sono prescritte. Sono cose che si possono fare, non cose che si devono necessariamente fare. E così, il nostro lavoro suggerisce che una volta che queste vengono ritardate, non tutte tornano al tavolo operatorio nel futuro periodo di tempo. E i costi relativi a questi interventi chirurgici elettivi rispetto ai costi relativi ai trattamenti di tipo coronavirus, i costi sono molto più bassi per i trattamenti di tipo coronavirus rispetto alle procedure elettive.
Black: Ok. E qual è la seconda area che ti piace?
Cook: Quindi, quando pensiamo alle aziende che ci piacciono, ci sono alcune aziende che ci piacciono a breve e a lungo termine. Ci sono aziende che pensiamo possano essere interessate a breve termine, ma comunque buone scommesse a lungo termine. Le prossime due aziende, Facebook e Alphabet, probabilmente cadranno in quel secondo secchio. A breve termine, sono esposte alle piccole e medie imprese, che si trovano all’estremo opposto del calo di attività che abbiamo visto finora quest’anno e anche Alphabet è esposta all’industria dei viaggi, il che, anche in questo caso, quando si è visto diminuire i viaggi del 95%, significa che la base di clienti è stata piuttosto scarsa per Alphabet da un anno all’altro. Ma guardando al futuro, pensiamo che, man mano che si supererà questo periodo di tempo, queste due aziende si troveranno in una posizione concorrenziale relativa di gran lunga migliore all’uscita da questo problema, e vogliamo fare una sorta di passo attraverso questa volatilità per possederle a lungo termine.
Black: Presumibilmente anche questo tipo di azioni tecnologiche sono beneficiarie del fatto che tutti noi lavoriamo o impariamo da casa in questo momento.
Cook: Sì. E penso che ci siano alcune tendenze laiche a cui queste aziende sono esposte che abbiamo riconosciuto e che sono il motivo per cui siamo stati investiti. E se c’è qualcosa che questo periodo di tempo ci ha insegnato è che alcune di queste tendenze, che sono davvero ben radicate, stanno accelerando in misura maggiore, date le dislocazioni che stiamo vedendo in termini di vita quotidiana normale e di interazioni sociali.
Black: Ok. E qual è la nostra ultima area di investimento?
Cook: Quindi, mentre pensiamo alla demografia e ai livelli di reddito negli Stati Uniti, pensiamo che ci sarà un po’ di dolore. Come abbiamo detto prima, pensiamo che ci sarà una recessione in arrivo. Quindi, vogliamo essere esposti ad alcune parti discrezionali dei consumatori che beneficeranno effettivamente dell’esposizione a gruppi a basso reddito. Un’azienda che ci piace molto in quello spazio è Dollar General. Ha una dimensione media del paniere di 7 dollari, quindi non sarà influenzata dall’avvento del commercio elettronico e del commercio elettronico. Non si può inviare una scatola, sai, per posta a 7 dollari. È un prezzo competitivo con Walmart e quindi, non c’è motivo per non fare acquisti da Dollar General rispetto a Walmart. E pensiamo che ci sia una storia di espansione dei negozi che si sta ancora svolgendo a beneficio di coloro che lo capiscono e possono investire nell’azienda. Quindi, pensiamo che le prospettive per Dollar General siano davvero, davvero buone qui.
Black: I negozi fisici non sono ancora interessati da misure di distanziamento sociale o dal fatto che molte persone potrebbero essere preoccupate di entrare nei negozi dopo questo?
Cook: Sì, penso che sarà la stessa cosa per ogni singolo retailer e penso che una volta che si ha quella parità di condizioni, e si accetta che tutti devono aderire ai nuovi modi di comportarsi nel retail, allora relativamente questa azienda… ha ancora quegli attributi davvero positivi rispetto a tutti gli altri là fuori che devono aderire alle stesse regole.
]]>Il crollo della produzione manifatturiera statunitense è continuato a dicembre, ha detto Robison, con l’indice di produzione dell’Institute for Supply Management (ISM) che è sceso a 47,2. Questo numero è il più basso dal giugno 2009, ha osservato, spiegando che una lettura inferiore a 50 indica una contrazione.
“Dicembre ha segnato il quinto mese consecutivo di contrazione per il settore manifatturiero statunitense”, ha dichiarato Robison, aggiungendo che anche gli ultimi dati del PMI (indice dei responsabili degli acquisti) provenienti dall’Europa hanno mostrato condizioni di contrazione. In parole povere, il settore manifatturiero è stato in crisi per un lungo periodo di tempo, ha detto.
Nonostante ciò, i mercati azionari hanno continuato ad avere una buona performance, ha osservato Robison, con indici importanti che hanno raggiunto livelli record per gran parte del mese di dicembre e di nuovo il 2 gennaio. Tuttavia, le crescenti tensioni tra gli Stati Uniti e l’Iran sono state oggetto di un attento monitoraggio, dopo l’attacco aereo del 3 gennaio che ha ucciso un importante comandante militare iraniano, ha detto Robison. “Una domanda chiave per i mercati sarà se questa situazione si aggraverà al punto di influenzare i prezzi dell’energia, che a sua volta potrebbe avere un impatto sugli indicatori macroeconomici”, ha spiegato.
Guardando al 2019, Robison lo ha caratterizzato come un anno straordinario per i mercati azionari, nonostante la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti e i fondamentali economici degradanti. Perché?
“La guerra commerciale è riuscita a deprimere un po’ i prezzi, e la Fed ha reagito tagliando i tassi di interesse tre volte. Così, abbiamo chiuso l’anno in uno scenario di Goldilocks di bassa disoccupazione e bassa inflazione – e i mercati azionari vanno molto bene in questo tipo di ambiente”, ha spiegato.
Anche il mercato obbligazionario ha avuto una buona performance nel 2019, ha detto Robison, con i prezzi che sono saliti con il calo dei rendimenti. Dopo essere stato in uno stato invertito per gran parte dell’anno, la curva dei rendimenti del Tesoro statunitense non è stata invertita nel quarto trimestre, ha aggiunto.
Nel 2020, c’è un potenziale di shock di mercato al ribasso e al rialzo, ha detto Robison. Se l’inflazione dovesse aumentare, è possibile che la Federal Reserve degli Stati Uniti potrebbe avere più difficoltà a combattere l’instabilità dei mercati finanziari, ha osservato, in quanto la banca centrale non sarebbe in grado di giustificare i tagli dei tassi.
D’altra parte, i potenziali miglioramenti dei fondamentali economici potrebbero portare ad un rialzo dei mercati, ha detto Robison – supponendo che l’inflazione e la disoccupazione rimangano basse. “Questo porterebbe probabilmente a un aumento dei prezzi azionari nel 2020”, ha dichiarato.
]]>Questo 2019 è stato guardato dai mercati con la lente della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti. Si è probabilmente esagerato l’effetto sulle economie di questo conflitto, che augurabilmente sta per volgere verso una tregua di una certa durata. Si è forse sottovalutato l’effetto strutturale, perché le due economie si separeranno
gradualmente nel corso dei prossimi anni. Ma andiamo a vedere altri fattori che hanno giocato e che, soprattutto, giocheranno nel 2020 in giro per il mondo, per determinare se ci sarà una crescita, come ci si augura, una stagnazione o una recessione, come alcuni economisti continuano a prevedere. Cominciando dalla Cina, che è cresciuta poco quest’anno. Le statistiche cinesi sono notoriamente poco affidabili, ma si capisce molto bene che la crescita è stata bassa dal fatto che tutti i paesi che circondano la Cina, che dipendono dalla Cina per la loro economia, hanno avuto un anno molto deludente. La Cina, comunque, non ha avuto una recessione, e quello che il mercato non ha evidenziato a sufficienza, a mio parere, è il fatto che la Cina da tre anni è impegnata in una guerra allo shadow banking, cioè in una sistemazione generale del suo credito, delle sue attività di credito, del sistema bancario, e in particolare del sistema bancario privato. Questa guerra allo shadow banking, ovviamente, riduce il credito disponibile, riduce la possibilità di crescita. Secondo i programmi del governo cinese questa guerra si concluderà l’anno prossimo, e quindi sarà un altro anno di crescita moderata, che però sarà compensata da alcune misure di politica monetaria molto graduali, molto limitate, che manterranno probabilmente il percorso di crescita più o meno sulla linea di quest’anno.
Anche in Europa non ci saranno novità particolari. La politica monetaria è in una fase di ripensamento, la Lagarde ha annunciato un lungo periodo di riflessione e di elaborazione di una strategia monetaria per i prossimi anni, e il pilota automatico è comunque sull’espansivo. Il quantitative easing è iniziato, 20 miliardi al mese, e quindi l’orientamento è comunque di default espansivo. Per quanto riguarda le politiche fiscali, c’è un po’ di tolleranza per gli sforamenti di bilancio che si preannunciano. Non c’è ancora, però, una vera e propria politica fiscale espansiva, e difficilmente ci sarà per il 2020. Quello che va però segnalato è che la Germania, a cui è stata spesso rimproverata l’assenza di disponibilità verso la politica fiscale espansiva, sta comunque accettando aumenti retributivi molto elevati, dell’ordine del 5-7 per cento, che sicuramente favoriscono, cominciano a favorire, e favoriranno, soprattutto nel 2020, i consumi, e quindi quello che la Germania non fa in investimenti, e che le viene rimproverato di non fare, lo farà per un’altra via, cioè attraverso i consumi interni. La Germania in questo modo si rende un po’ meno competitiva, e consuma un po’ di più, ridurrà un po’ l’avanzo delle partite correnti, che è abnorme, e in questo modo aiuterà un po’ la crescita europea.
Gli Stati Uniti dovrebbero riuscire a evitare il rischio di recessione determinato dagli aumenti eccessivi dei tassi nel 2018. La politica monetaria ha effetti ritardati di 12-18 mesi, e quindi i due rialzi finali del 2018, probabilmente sbagliati, potrebbero ancora manifestare effetti negativi nei primi mesi del 2020. Tuttavia l’effetto psicologico positivo della tregua commerciale che immaginiamo tra Stati Uniti e Cina, dovrebbe bilanciare questi ultimi effetti negativi, e per il resto l’economia americana dovrebbe procedere nel 2020 alla sua velocità di crociera, che è tra l’1,75 e il 2,25 per cento di crescita. Quello che sarà decisivo verso la fine dell’anno, per i mercati, saranno, come già noto, le elezioni presidenziali e Da lì si determinerà quello che succederà negli anni successivi, ma per quanto riguarda il 2020, molte cose sono già scritte e lo scenario dovrebbe essere sul piano economico di relativa stabilità.
]]>La guerra commerciale USA-Cina non sembra avvicinarsi a una risoluzione. Finora entrambe le parti non sono riuscite a trovare un compromesso, mentre l’aumento delle tariffe ha scosso i mercati finanziari. E mentre il conflitto si intensifica senza fine, una nuova ricerca suggerisce che le perdite globali potrebbero salire a $ 600 miliardi entro il 2021.
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Se le tariffe si espandessero per coprire tutti gli scambi tra i due paesi – e i mercati crolleranno in risposta – gli economisti di Bloomberg prevedono che l’economia globale potrebbe contrarsi dello 0,6%, con il picco di impatto avvertito a due anni di distanza. Sia gli Stati Uniti che la Cina hanno imposto tariffe fino al 25% su alcuni beni – e la modellazione di Bloomberg suggerisce che la produzione economica scenderà dello 0,5% in Cina e dello 0,2% negli Stati Uniti entro il 2021.

Il presidente Donald Trump ha affermato che gli Stati Uniti aumenterebbero ulteriormente le tariffe su tutte le importazioni cinesi se non si raggiungesse presto una risoluzione commerciale tra le due nazioni – e la Cina probabilmente si ritroverà. Come mostra la tabella seguente, l’impatto sulla produzione economica in tale scenario sarebbe significativamente maggiore.

Molti investitori stanno ancora scommettendo sulla Cina e gli Stati Uniti alla fine raggiungeranno un accordo. Ma se uno non riesce a materializzarsi, è probabile che i mercati finanziari vedranno una brusca correzione. Un calo del mercato aggraverebbe l’impatto delle tariffe, con un prodotto interno lordo globale (PIL) che subirà un colpo ancora più grande. Lo “scenario da incubo” di Bloomberg vede lo 0,9% spazzato via dal PIL cinese e lo 0,7% da quello degli Stati Uniti.

75 anni fa, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti presero la storica decisione di restare in Europa, e non di lasciarla come fecero dopo la Prima, con i risultati che conosciamo. Nello stesso periodo storico il capo del nostro governo, il primo Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana, Alcide De Gasperi, lanciava la sua visione degli Stati Uniti d’Europa. Sono passati appunto tre quarti di secolo, non ci sono gli Stati Uniti d’Europa, ci sono gli Stati Uniti in Europa. Come è evoluta questa presenza, e come si configura oggi, e infine qualche parola su come potrebbe influire sul nostro futuro.
Molto semplicemente nasce, la presenza americana in Europa, dalla consapevolezza che, come tutte le coalizioni che si rispettino, anche la coalizione bellica della Seconda Guerra Mondiale era destinata a spaccarsi dopo la vittoria, e soprattutto dalla consapevolezza che dall’altra parte c’era una superpotenza, l’Unione Sovietica, aliena alla cultura e agli interessi degli Stati Uniti, che aveva una forte presenza convenzionale al di là della cortina di ferro, cioè al di là della linea Stettino-Trieste, controllava mezza europa e secondo gli americani rischiava di controllarne l’altra mezza.
In quel periodo, parliamo del ’47, interrogato da un giornalista intorno alla questione se i sovietici avessero o meno la bomba atomica, il maresciallo Montgomery, il leggendario maresciallo britannico, rispose “non so se abbiano la bomba atomica, ma so che non hanno le biciclette, perché se le avessero sarebbero già a Brest“, a significare appunto la eccezionale presenza e forza delle divisioni sovietiche a ridosso della cortina di ferro, cui si contrapponevano le esauste forze europee e una minima presenza americana, presenza americana che poi negli anni si è, dal punto di vista militare, molto accentuata, e soprattutto presenza geopolitica ed economica, che si è sviluppata secondo un progetto e un percorso abbastanza nitido a partire dalla decisione, appunto, nel ’47 di restare con un gruppo di soldati e di assetti piuttosto rilevante in europa, e di svilupparlo. Contemporaneamente lancio del Piano Marshall per stabilizzare l’europa occidentale. 1949, nasce l’Alleanza Atlantica, che qualcuno ha dato e dà ancora per morta e sepolta, ma che è ancora qui con noi.
1900, anni cinquanta diciamo del novecento, nascita graduale delle comunità europee, che sono evidentemente effetto di scelte di alcune leadership europee occidentali, ma sotto l’invito, la pressione, il sostegno decisivo degli Stati Uniti d’America, che in quanto, appunto, superpotenza sotto tutti i profili, avevano in qualche misura, ancora hanno, qualcosa da dire su quello che accade in questo continente.
]]>Nel suo conflitto commerciale con la Cina, il presidente Trump ha fatto grandi richieste e ha affermato che le sue tariffe sulle importazioni cinesi costringeranno Pechino a cedere.
“Penso che faremo un accordo con la Cina. Penso davvero che lo vogliano. Penso che ne abbiano davvero bisogno“.
La realtà è più complicata. Anche il presidente Xi Jinping ha un effetto leva. I dati disponibili sull’economia cinese mostrano molti problemi. Le azioni dell’indice composito di Shanghai sono diminuite del 25% l’anno scorso. La Cina ha registrato una crescita nel 2018 del 6,6%. La più lenta in 30 anni. La domanda è: perché?
Nick Lardy, esperto del Peterson Institute for International Economics, afferma che il fattore più importante sono le politiche economiche interne di Pechino. Le tariffe di Trump, dice, hanno reso l’economia cinese solo leggermente peggiore. Ma le tariffe hanno anche danneggiato l’economia americana. Wall Street è cresciuta nervosamente, la crescita degli Stati Uniti sta rallentando e diversamente da Xi Jinping, il cui termine è illimitato, Trump si trova di fronte agli elettori l’anno prossimo. Tutti questi fattori sembrerebbero indicare le due maggiori economie alla ricerca un modesto compromesso. Proprio come l’accordo di Trump fatto con Canada e Messico per rivedere il NAFTA, chiamato U.S.M.C.A. Una cosa del genere funziona.
Gli specialisti del commercio dicono che Xi non eliminerà il suo programma Made in China 2025, o cancellerà l’enorme surplus commerciale di Pechino in due anni, come richiesto da Trump. Ma Pechino potrebbe accettare di abbattere quell’eccedenza acquistando più beni degli Stati Uniti e aprire nuovi mercati agli esportatori americani. Se Trump ritrae il tutto come una vittoria della Casa Bianca, a Pechino non dispiacerà, perché in qualche modo la politica di Trump’s America First ha aiutato la Cina.
“Uscendo dal partenariato transpacifico e allagando gli alleati degli Stati Uniti, Trump ha aperto la porta a un ruolo più ampio della Cina nel commercio globale. Penso che i cinesi fossero estasiati dal fatto che gli Stati Uniti si siano ritirati dal partenariato transpacifico. E questo è un elemento della presidenza Trump di cui sono molto, molto contenti, e ne stanno approfittando. Vogliono creare un sistema di scambi economici regionali che ruota intorno alla Cina, e non uno in cui sono coinvolti gli Stati Uniti, tanto meno come attore importante“.
Riducendo altri impegni internazionali, si amplia l’opportunità della Cina per un’influenza espansa attraverso la sua Belt and Road Initiative di investimenti esteri.
“È pianificato come uno dei progetti di sviluppo più vasti e completi della storia umana“.
“Stanno inesorabilmente cercando il controllo dei porti e dei flussi di materie prime in tutta l’Africa. Voglio dire … è una strategia così nettamente neocoloniale“.
E, minimizzando i diritti umani, Trump ha sollevato una fonte non economica di pressione americana sul regime autoritario cinese. Proprio come il presidente Trump prevede in grande benefici economici da un accordo commerciale cinese, i suoi assistenti insistono che l’amministrazione sta sostenendo l’influenza americana in altri modi. Un portavoce della Casa Bianca ha messo in dubbio l’idea che Trump abbia minimizzato i diritti umani, e ha osservato che l’amministrazione sta perseguendo la cooperazione economica, di sicurezza e di governance con i paesi della regione indo-pacifica senza TPP. Oltre al commercio, il vicepresidente Pence ha recentemente dichiarato che la cooperazione include progetti infrastrutturali migliori rispetto al “tipo insostenibile di scarsa qualità” nell’iniziativa cinese Belt and Road.
“Sappiate che gli Stati Uniti offrono un’opzione migliore. Non anneghiamo i nostri partner in un mare di debiti. Non costringiamo o compromettiamo la vostra indipendenza. Gli affari degli Stati Uniti vengono fatti apertamente e in modo equo. Non offriamo una cintura o una strada a senso unico. Quando ti allei con noi, collaboriamo con te. E prosperiamo tutti“.
Anche se l’amministrazione Trump può raggiungere un accordo commerciale bilaterale con la Cina, esperti come Larry Diamond temono che il più ampio sforzo di Pechino per espandere la propria potenza globale possa funzionare a spese dell’America e del mondo occidentale.
“Non riesco davvero a immaginare uno scenario più realistico per la forma futura del mondo; non inevitabile, ma plausibile. È più spaventoso che avere uno stato del Partito Comunista Cinese non ricostruito e sempre più neo-totalitario, orwelliano, che è la superpotenza dominante ed egemonica del mondo. L’alternativa deve essere una strategia globale guidata dalle democrazie mondiali per proiettare i nostri valori di libertà, democrazia, autonomia personale e innovazione, libertà di idee e informazioni, e per contrastare la narrativa cinese “.
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Alla fine di ogni giornata, i mercati saranno guidati dai guadagni, e al momento abbiamo questo spazio negli Stati Uniti. Abbiamo un’economia forte. Abbiamo società che hanno appena avuto una fantastica riduzione delle tasse che le incoraggia a reinvestire nelle loro attività. Possono pagare di più i loro dipendenti.
Di conseguenza, i consumatori si sentono meglio, la sicurezza del posto di lavoro è elevata. E ora siamo a un punto dell’economia, dove storicamente, quando un ciclo è durato così tanto, ci si aspetterebbe che una crisi sia forse dietro l’angolo.
Questa volta potrebbe essere diverso, perché una delle parti chiave della riforma fiscale di Trump è stata la modifica del modo in cui le società sono tassate, e ha incoraggiato le aziende a reinvestire nelle loro attività consentendo loro di ridurre le imposte, quando investono in un nuovo stabilimento e attrezzatura. Quindi, pensiamo, questo è ciò che sta per dare una nuova spinta alla crescita per l’economia degli Stati Uniti.
Le aziende stanno pagando aliquote fiscali del 21% rispetto al 35%, il che sta liberando un sacco di soldi per pagare gli impiegati di più, e così via. Pertanto, l’effetto netto per la fiducia delle imprese e la crescita degli utili, il motore principale per i mercati, è estremamente positivo, e se si guarda alle recenti cifre sulla crescita del PIL per gli Stati Uniti, abbiamo effettivamente iniziato a vedere un’accelerazione, non una decelerazione. Iniziamo a vedere l’occupazione ai minimi storici, e le persone stanno spendendo più soldi. Quindi abbiamo davvero una specie di effetto valanga negli Stati Uniti, su dove dovrebbero andare le cose: il ritmo dell’economia dovrebbe continuare a crescere e…
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E’ un’ottima domanda. Penso che bisogna guardare attraverso diversi settori dell’economia. Vorremmo dire che in alcuni settori forse un sacco di buone notizie hanno un prezzo, e c’è molto rischio. In altri settori la valutazione è ancora molto interessante.
Vorremmo citare il settore tecnologico come un’area in cui la buona notizia è molto prezzata. Si possono vedere le società di software di trading, molte delle più popolari, che vendono fino a 25 volte le vendite, per non parlare dei ricavi. Quelle sono valutazioni molto, molto alte. In altre aree dell’economia, forse più in ambito industriale, dal lato ciclicamente al consumo, dall’assistenza sanitaria, dai finanziari, dalle banche, le valutazioni non sono davvero troppo tese.
Quindi, penso che abbiamo avuto una situazione in cui forse alcune delle aree più popolari del mercato, come le aree tecnologiche, i FAANGs hanno aggregato la valutazione P/E complessiva dello S&P500. Ma molte altre buone aziende sono state un po’ lasciate alle spalle. Quindi, penso che ciò di cui siamo entusiasti, poiché investiamo, è la capacità di trovare alcuni dei nomi meno popolari che sono valutati in modo più attraente, ma che hanno ancora ottime prospettive, guidate dall’eccellente prospettiva economica
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