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La relazione della Commissione mostra che gli investimenti mirati e le solide politiche digitali danno impulso alle prestazioni degli Stati membri.
La Commissione Europea ha pubblicato oggi i risultati dell’Indice dell’economia e della società digitale del 2019, che monitora le prestazioni digitali complessive dell’Europa e traccia i progressi dei paesi dell’UE rispetto alla loro competitività digitale.
I paesi che hanno fissato obiettivi ambiziosi in linea con la strategia del mercato unico digitale dell’UE e li hanno combinati con investimenti adeguati hanno ottenuto una migliore performance in un periodo di tempo relativamente breve. Questa è una delle principali conclusioni del Digital Economy and Society Index (DESI) di quest’anno. Tuttavia, il fatto che le maggiori economie dell’UE non siano in prima linea nel settore digitale indica che la velocità della trasformazione digitale deve accelerare, affinché l’UE possa rimanere competitiva a livello mondiale.
I dati dell’Indice dell’economia e della società digitale negli ultimi 5 anni mostrano che investimenti mirati e politiche digitali solide possono avere un impatto significativo sulle prestazioni dei singoli Paesi. È il caso, ad esempio, della Spagna, nella diffusione della banda larga ultraveloce, di Cipro nella connettività a banda larga, dell’Irlanda per la digitalizzazione delle imprese e della Lettonia e della Lituania nei servizi pubblici digitali.
La connettività è migliorata, ma rimane insufficiente per far fronte alle esigenze in rapida crescita. Gli indicatori dell’indice dell’economia e della società digitale mostrano che la domanda di banda larga veloce e ultraveloce è in aumento, e si prevede che aumenterà ulteriormente negli anni in considerazione della crescente sofisticazione dei servizi internet e delle esigenze delle imprese. La connettività ultraveloce di almeno 100 Mbps è disponibile per il 60% delle famiglie, e il numero di abbonamenti alla banda larga è in aumento. Il 20% delle case utilizza la banda larga ultraveloce, un numero quattro volte superiore a quello del 2014.
L’UE ha concordato la riforma delle norme comunitarie in materia di telecomunicazioni per soddisfare le crescenti esigenze di connettività degli europei e per stimolare gli investimenti. La Svezia e il Portogallo hanno la più alta diffusione della banda larga ultraveloce, mentre la Finlandia e l’Italia sono le più avanzate nell’assegnazione dello spettro 5G.
Più di un terzo della forza lavoro attiva europea non possiede competenze digitali di base, anche se la maggior parte dei posti di lavoro richiede almeno competenze digitali di base, e solo il 31% possiede competenze avanzate per navigare su Internet. Allo stesso tempo, si registra un aumento della domanda di competenze digitali avanzate in tutta l’economia, con l’occupazione di specialisti in tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che è cresciuta di 2 milioni di persone negli ultimi 5 anni nell’UE.
Finlandia, Svezia, Lussemburgo ed Estonia sono i leader in questa dimensione dell’indice.
L’83% degli europei naviga in internet almeno una volta alla settimana (rispetto al 75% del 2014). D’altra parte, solo l’11% della popolazione dell’UE non è mai stato online (in calo rispetto al 18% del 2014).
L’uso di videochiamate e video on demand, disponibili su vari programmi per computer e applicazioni per smartphone, è aumentato maggiormente. Per tutelare meglio la fiducia degli utenti nell’ambiente online, il 25 maggio 2018 sono entrate in vigore le norme UE sulla protezione dei dati.
Le imprese stanno diventando sempre più digitali, ma il commercio elettronico sta crescendo lentamente. Nel complesso, i principali attori dell’UE in questo settore sono l’Irlanda, i Paesi Bassi, il Belgio e la Danimarca, mentre l’Ungheria, la Romania, la Bulgaria e la Polonia devono recuperare il ritardo.
Un numero crescente di aziende utilizza i servizi cloud (18% rispetto all’11% del 2014) e i social media per coinvolgere i propri clienti e altri stakeholder (21% rispetto al 15% del 2013).
Tuttavia, il numero di PMI che vendono i loro beni e servizi online è rimasto stagnante negli ultimi anni al 17%.
Nell’intento di promuovere il commercio elettronico nell’UE, l’UE ha concordato una serie di misure che vanno da prezzi più trasparenti per la consegna dei pacchi a norme più semplici in materia di IVA e di contratti digitali. Dal 3 dicembre 2018, i consumatori e le imprese possono trovare le migliori offerte online in tutta l’UE senza subire discriminazioni in base alla nazionalità o al luogo di residenza.
Nel settore dei servizi pubblici digitali, in cui è in vigore la regolamentazione dell’UE, si registra una tendenza alla convergenza tra gli Stati membri per il periodo 2014-2019.
Il 64% degli utenti di internet che inviano moduli alla propria pubblica amministrazione utilizza ora i canali online (rispetto al 57% del 2014), dimostrando la convenienza delle procedure online rispetto alla burocrazia.
Nell’aprile 2018 la Commissione ha adottato iniziative sul riutilizzo delle informazioni del settore pubblico e sulla sanità elettronica, che miglioreranno in modo significativo i servizi pubblici online transfrontalieri nell’UE.
Per quanto riguarda l’uso dei servizi pubblici digitali, tra cui la sanità elettronica e l’e-government, la Finlandia e l’Estonia hanno registrato i punteggi più alti nell’indice. Sempre pubblicato oggi, il Women in Digital Scoreboard mostra che i paesi dell’UE che sono digitalmente competitivi sono anche leader nella partecipazione femminile all’economia digitale.
Finlandia, Svezia, Lussemburgo e Danimarca hanno i punteggi più alti per quanto riguarda la partecipazione delle donne all’economia digitale. Il divario di genere, tuttavia, persiste a livello europeo nei settori dell’uso di internet, delle competenze digitali e delle competenze specialistiche in materia di ICT e dell’occupazione con le maggiori disuguaglianze in quest’ultimo settore: solo il 17% degli specialisti in ICT sono donne e guadagnano ancora il 19% in meno rispetto agli uomini. Inoltre, solo il 34% dei laureati in STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) sono donne, una cifra che dobbiamo aumentare negli anni a venire.
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Siamo a un bivio nello sviluppo dell’Unione Europea. Le sfide a medio termine che l’Europa deve affrontare sono la globalizzazione, il cambiamento climatico, la demografia e la digitalizzazione. Queste sfide devono essere affrontate contemporaneamente a questioni più immediate, tra cui la necessità di prevenire il terrorismo e gli attacchi cibernetici, di promuovere una crescita più rapida, di creare più posti di lavoro e di fornire servizi pubblici migliori. Sono necessarie una leadership politica risoluta e politiche adeguate e interconnesse a livello europeo.
Queste politiche dipenderanno, più che mai, dai dati. Come ha affermato un recente rapporto delle Nazioni Unite, “i dati sono la linfa vitale del processo decisionale e la materia prima per la responsabilità”. Il ruolo che le tecnologie digitali dovrebbero svolgere è chiaro.
In tutto il mondo, queste stesse preoccupazioni sono evidenti, e sta emergendo la consapevolezza che solo chi converte i dati in soluzioni digitali precedentemente inimmaginabili potrà prosperare. Anche gli Stati membri stanno affrontando queste sfide sociali senza precedenti. Hanno riconosciuto la necessità di aggiornare le loro strategie digitali del settore pubblico per cogliere le opportunità offerte dalle tecnologie digitali. Il vertice digitale di Tallinn del settembre 2017 ha affrontato questi temi a livello europeo. I leader del vertice hanno sottolineato la necessità di accelerare il completamento del mercato unico digitale. Hanno anche sottolineato l’importanza del settore pubblico e hanno articolato ciò che si aspettano dalla Commissione. Ciò conferma la necessità che la Commissione Europea adotti una nuova strategia digitale, che dovrebbe essere focalizzata sulle politiche post-2020 che plasmeranno il futuro dell’Europa.
Nuove soluzioni digitali innovative a sostegno delle politiche e delle attività della Commissione sono necessarie a causa di diversi fattori: le aspettative degli Stati membri, gli obblighi giuridici, le nuove esigenze degli utenti, le crescenti preoccupazioni in materia di sicurezza e un approccio aziendale alla gestione delle informazioni, che ponga l’accento sulla condivisione e il riutilizzo dei dati. Le principali sfide informatiche per la Commissione sono quindi le seguenti: (i) la progettazione, lo sviluppo e la diffusione della prossima generazione di soluzioni digitali mission-critical e (ii) la modernizzazione dei sistemi ereditati.
Questa strategia digitale definisce una visione per affrontare questa sfida – evolvere verso un’amministrazione digitalmente trasformata, orientata all’utente e guidata dai dati. Essa formula i principi alla base dello sviluppo di soluzioni digitali a sostegno dell’uso efficace e coerente dei dati da parte della Commissione nel rispetto delle normative sulla protezione dei dati. Individua le azioni per fornire una Commissione digitalizzata, compresi i servizi pubblici digitali senza frontiere che attuano politiche a livello europeo, rafforzando al contempo la sicurezza informatica.
Questa strategia sottolinea il ruolo fondamentale di un solido ecosistema di dati. Essa evidenzia un nuovo modello di fornitura che promuove l’agilità, l’innovazione e la co-creazione da parte di tutti i servizi della Commissione. In particolare, sottolinea l’importanza di consentire azioni – in materia di governance, risorse e competenze digitali – senza le quali sarà impossibile realizzare la trasformazione desiderata.
Questa strategia digitale è un’opportunità unica per sfruttare il potenziale della digitalizzazione e creare soluzioni innovative per una Commissione più affidabile, efficace, efficiente, trasparente e sicura. Essa si concentra su azioni interne, aziendali e informatiche per sostenere i servizi della Commissione nel loro lavoro quotidiano e per sviluppare le soluzioni digitali che siano giuridicamente indispensabili per l’esecuzione delle politiche della Commissione in tutta l’UE. La strategia rappresenta anche un’opportunità per esplorare la collaborazione e le sinergie con altre istituzioni e agenzie. Il risultato sarà una Commissione che fa il miglior uso delle tecnologie digitali per lavorare in armonia con gli Stati membri e che è adatta allo scopo nell’odierno spazio globale dell’informazione digitale con il suo flusso di dati in tempo reale.
Questa trasformazione aziendale dipende da un sostegno impegnato a livello politico e gestionale. Il tempo è essenziale. L’accelerazione del cambiamento globale accentua l’urgenza con cui questa strategia deve essere attuata. I direttori generali sono responsabili e devono guidare questa trasformazione digitale dei loro dipartimenti. Un fallimento comprometterebbe la reputazione della Commissione come amministrazione di livello mondiale e ridurrebbe il suo potenziale di servire l’Europa nell’era digitale. Il successo sarà una Commissione rinomata per l’uso innovativo delle tecnologie digitali per fornire i migliori servizi possibili ai cittadini dell’Unione.
Il successo dell’attuazione di questa strategia si tradurrà in soluzioni digitali basate sui dati per le politiche della Commissione e in un ambiente digitale sicuro per il personale, adatto ai loro metodi di lavoro. Infine, questa strategia digitale può essere considerata come la risposta della Commissione all’invito del Consiglio europeo del 19 ottobre 2017 per “i governi e i settori pubblici che sono pienamente portati nell’era digitale e danno il buon esempio”.
Entro il 2022, la Commissione sarà un’amministrazione trasformata digitalmente, incentrata sull’utente e sui dati, una vera e propria Commissione digitale. Sarà dotata di una nuova generazione di soluzioni digitali affidabili e personalizzate a sostegno delle sue politiche, attività e processi amministrativi digitalizzati. Queste soluzioni aumenteranno l’efficienza, l’efficacia, la trasparenza e la sicurezza della Commissione e forniranno servizi pubblici digitali in tutta l’UE, senza frontiere, indispensabili per il funzionamento dell’Unione europea.
Questa visione va oltre l’e-government più tradizionale, ed è in linea con la definizione di governo digitale dell’OCSE: “l’uso delle tecnologie digitali, come parte integrante delle strategie di modernizzazione dei governi, per creare valore pubblico (…) sostenendo la produzione e l’accesso a dati, servizi e contenuti attraverso l’interazione con il governo”. Più semplicemente, questo significa cambiare radicalmente il modo in cui la Commissione lavora, in modo da sfruttare appieno le tecnologie digitali. Questa strategia si concentra sulle persone e sulle loro esigenze, non solo sui dati e sulla tecnologia. È il mezzo per dare al personale gli strumenti che aggiungono valore a ciò che sta facendo e che forniscono (in ultima analisi) al cittadino.
Il successo dell’implementazione di questa visione fornirà una serie di soluzioni digitali che: (i) sosterrà le priorità e le attività politiche della Commissione in modo “aperto, efficiente e inclusivo” e (ii) fornirà “servizi pubblici digitali senza frontiere, interoperabili, personalizzati, di facile utilizzo, da punto a punto”.
Queste soluzioni dovrebbero consentire la condivisione dei dati e le pratiche di lavoro collaborativo proposte dalla comunicazione sulla gestione dei dati, delle informazioni e delle conoscenze. Dovrebbero offrire al personale flessibilità per quanto riguarda le modalità, i tempi e i luoghi di lavoro, unitamente a una maggiore standardizzazione delle modalità di utilizzo degli strumenti informatici e delle informazioni. In linea con una cultura di governo aperta , dovrebbero anche consentire ai cittadini di impegnarsi e partecipare alla definizione delle politiche. Le soluzioni dovrebbero essere progettate per ottimizzare l’esperienza dell’utente in termini di funzionalità e di interfaccia utente.
I seguenti obiettivi di alto livello dovrebbero guidare le azioni che attuano la visione:
Il raggiungimento di questi obiettivi farà della Commissione un’amministrazione di livello mondiale – aperta, fidata, sicura, connessa, digitalizzata e guidata dai dati. Sarà caratterizzata da una cultura di pratiche di lavoro collaborativo, dalla condivisione dei dati e da soluzioni digitali personalizzate. Ciò favorirà l’adozione di servizi pubblici digitali interoperabili in tutto il settore pubblico europeo e contribuirà a rendere il mercato unico digitale una realtà.
]]>Ramesh Srinivasan è professore di Scienze dell’Informazione e Design Media Arts all’UCLA. Appare regolarmente su NPR, The Young Turks, MSNBC e Public Radio International, e i suoi scritti sono stati pubblicati sul Washington Post, Quartz, Huffington Post, CNN e altrove. L’ultimo libro di Ramesh Srinivasan è Beyond the Valley: How Innovators around the World are Overcoming Inequality and Creating the Technologies of Tomorrow.
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Un’economia digitale e un mondo che lavora per il 99 per cento sono un mondo in cui le tecnologie non sostengono gli interessi di alcuni a scapito di altri. Sono una sorta di mentalità a somma zero che può finire per costare a tutti noi alla fine della giornata. Un’economia digitale produce prosperità e valore per tutti. Essa sostiene gli interessi commerciali. Supporta i grandi sviluppi per i consumatori che molte piattaforme digitali hanno fornito, ma non a costo della sicurezza economica, della sicurezza dei lavoratori, delle diverse opinioni, delle minoranze razziali, delle popolazioni indigene, delle donne. Il problema è che, in questo momento, il nostro mondo digitale, attraverso le tecnologie che si sono globalizzate nel mondo, è più o meno strutturato, influenzato e dominato da poche aziende tecnologiche che si trovano in una piccola fetta di mondo – nella Silicon Valley, a Seattle e anche in Cina. E hanno tutte risultati di tipo diverso. Ma le persone che sono alla guida di queste aziende non solo devono sviluppare tecnologie per il loro interesse privato, senza contare gli effetti sul resto di noi, ma tendono ad essere, in termini demografici, non rappresentative della stragrande maggioranza dei loro utenti. Non vediamo molte donne. Non vediamo molte minoranze razziali. Vediamo alcuni maschi asiatici e bianchi.
E così, di conseguenza, intenzionalmente o meno, stanno codificando nel mondo digitale risultati che generano una maggiore disuguaglianza. Ed è davvero importante collocare tutto questo al di sopra dell’aspetto del nostro mondo attuale, e anche del nostro Paese. Tre persone hanno circa una ricchezza equivalente a 195 milioni di persone in questo Paese. Nessuno l’avrebbe immaginato. E tutto questo è successo negli ultimi decenni. A livello globale, sette o otto persone, a seconda delle stime, hanno una ricchezza equivalente a 3,9-4 miliardi di persone circa. Ci sono stime diverse su questo. Questo fatto non è stato nemmeno creato da internet e dalla tecnologia digitale. Ma internet e la tecnologia digitale stanno amplificando questi problemi.
Allora, cosa possiamo fare per queste disuguaglianze che abbiamo di fronte in questo momento? Da un lato possiamo vedere queste disuguaglianze come motivi per essere turbati, preoccupati, ansiosi, nervosi e critici. E questo va bene. Capisco da dove deriva. Ma, per me, rappresentano delle alternative e delle opportunità per impegnarci effettivamente in un’azione produttiva, progressiva, pragmatica.
Quindi, prima di tutto, ogni singola persona che rischia di perdere il lavoro, di perdere la sicurezza economica, cosa che sta già accadendo, deve essere riconosciuta, affrontata e umanizzata non solo a parole, ma anche presentando opportunità economiche per quelle persone. Quindi, in altre parole, quello che sto ottenendo a livello economico sono posti di lavoro che si stanno spostando verso la gig economy, proprio come gli autisti Uber e così via, che molti tipi di studi stanno mostrando sono probabilmente la porta d’accesso a un mondo automatizzato. Queste persone hanno bisogno di essere protette. Hanno bisogno di essere presentate con nuovi tipi di lavoro che siano giusti, dignitosi, economicamente sicuri, oppure abbiamo bisogno di capire altri risultati. Immaginate se Uber fosse almeno parzialmente, se non completamente, posseduta, o un modello di tipo Uber, dai suoi autisti, dai suoi operai. L’intero modello delle corporazioni tecnologiche in questo momento è quello di fare del lavoro e dei costi in tutte le forme un ripensamento, di ignorare fondamentalmente questi tipi di costi per massimizzare il profitto e la valutazione. E questo è un modello molto tossico a livello sociale. Questo è un modello. Questo a livello economico.
Dal punto di vista politico, non c’è dubbio che ciò di cui abbiamo bisogno non sono solo revisori indipendenti – e non dobbiamo solo dire indipendenti. Dobbiamo rendere trasparente chi sono questi giornalisti che si occupano di questi sistemi algoritmici che la gente usa per accedere alle notizie. Per esempio, su Facebook, giusto. Quindi, dovremmo effettivamente portare giornalisti rispettabili in tutto lo spettro politico per progettare questi algoritmi, e verificare questi algoritmi con ingegneri. Quindi, ci devono essere delle partnership pubblico-privato. Questo è l’unico modo per evitare che si trasformi in una completa implosione per Facebook, ad esempio, che sta ricevendo così tante critiche in questo momento. Ma questo è sintomatico di un problema più grande, e un’opportunità per noi di sviluppare effettivamente soluzioni reali a questi problemi. Quindi, questo è un secondo problema a livello politico e democratico.
Penso che un terzo elemento, che è sia economico che politico, sia la questione di fare in modo di sostenere le piccole imprese nell’economia digitale, e anche le piattaforme tecnologiche alternative per creare un ambiente più competitivo. Questo permetterà ciò che vediamo ora, ovvero un’integrazione orizzontale a tutti i livelli. Un comportamento di tipo monopolistico da parte di Facebook, ma anche di Google, Amazon e così via, di essere in realtà un po’ stemperato. Non rivendicare il linguaggio di un mercato senza sostenere un mercato aperto. Ma un mercato aperto, proprio come la libertà di parola, non significa che sia solo presunto. Tutti devono avere pari opportunità di partecipare a questi cambiamenti.
E poi l’ultimo punto che voglio fare, che ritengo molto importante, è che le persone vulnerabili e le comunità vulnerabili del nostro mondo, che sono state storicamente discriminate, devono essere prima di tutto parte di queste soluzioni. Parte di dove andiamo e di ciò che consideriamo per andare avanti. I lavoratori dovrebbero avere il potere di progettare piattaforme che definiscano il futuro del lavoro. Le comunità nere, comprese le comunità del tipo Black Lives Matter, che sono vittime dei sistemi algoritmici di Intelligenza Artificiale che si stanno rivelando razzisti in generale, che si tratti di sistemi algoritmici di polizia predittiva o di tribunali, dovrebbero progettare tali sistemi o anche prendere decisioni sull’esistenza di tali sistemi. Quindi, quello che voglio dire è che dobbiamo aprire completamente la tavolozza socialmente, politicamente e culturalmente su chi ha potere e la governance sulle tecnologie. Questo può coesistere con la Silicon Valley. Questo può coesistere con Amazon, e questa non è cecità. Quello che è successo fondamentalmente è che siamo diventati tutti più o meno ciechi in questo gioco di ingegneria sociale che ora sta sconvolgendo in modo molto negativo tutta la nostra vita. Ed è per questo che dobbiamo fare qualcosa in questo momento.
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(il testo che segue è tratto da un articolo di Inno3.it, che ben riassume la manifestazione e ciò che vi è stato detto).
La foto dell’Italia è sempre quella: un mercato digitale promettente con una crescita attesa per il 2019 del 2,5% ma in una classifica europea deludente, che ci vede al 26esimo posto (su 28, indice Desi). Dati ribaditi nel contesto vivace di Fed 2019, dove imprese e imprenditori non hanno taciuto ambizioni ma anche paure.
Il Forum dell’Economia Digitale, organizzato da Facebook in collaborazione con i Giovani Imprenditori di Confindustria dello scorso 11 luglio, ha raccolto il popolo dell’innovazione digitale italiana a Milano, istituzioni comprese. “Siamo di fronte a una rivoluzione che ha un impatto sull’economia senza precedenti, perché la digitalizzazionesta trasformando interi settori industriali, dalla finanza alla sanità, dall’informazione alla manifattura, ridisegnando il mondo del lavoro – commenta il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sul palco del Mico a fine giornata -. Il compito della politica è far sì che questa energia diventi un’opportunità per tutto il Paese, facendo sempre attenzione al benessere delle persone, verso un umanesimo digitale”.
La politica deve prendere spunto dagli imprenditori, dalla determinazione di chi si è messo in gioco, secondo il premier, citando l’impatto che tecnologie come AI avranno sul mondo del lavoro e ricordando le strategie legate al Fondo per l’Innovazione da un miliardo di euro e ai due comitati di esperti su intelligenza artificiale e blockchain voluti dal Mise. Oltre alle previsioni del World Economic Forum: la trasformazione del lavoro non interesserà solo le attività manuali a basso reddito, ma le professioni qualificate, grazie ad algoritmi di AI.
”Be the Change” (questo il titolo della quarta edizione di Fed, ambizioso) raccoglie il trend positivo attuale che porterebbe a un volume d’affari di 72,2 miliardi di euro nel 2019 (appunto +2,5%), di 74,2 milioni nel 2020 (+2,8%), di 76,5 miliardi nel 2021 (+3,1%). In scia alle crescite registrate nel 2018: mobile (+9,4%), IoT (+19,2%), cloud(+23,6%), cybersecurity (+12,2%), wearable (+15,3%), piattaforme web (+13,7%).
Sono dati che fa bene ricordare alle duemila persone presenti ad ascoltare casi di trasformazione sociale, economica e tecnologica, con dibattiti aperti su intelligenza artificiale e robotica (tra questi Rita Cucchiara, Direttore Lab Cini Aiis e punto di riferimento per gli studi di visione artificiale e deep learning nel nostro Paese), formazione, blockchain tra ambizioni, paure e obiettivi da raggiungere. Un mix.
Perché la paura di non essere all’altezza richiede uno sforzo sulle competenze digitalinecessarie (altro punto quasi a noia, ma serve insistere). “Per sostenere lo sviluppo sono necessarie delle forti competenze digitali: il 90% delle Pmi in Italia riconosce infatti che, per la crescita di un’impresa, le competenze digitali sono imprescindibili – esordisce Luca Colombo, Country Director Facebook Italy -. Se nei prossimi tre anni il nostro Paese riuscisse ad allineare la diffusione dei digital skill alla media europea, il nostro tessuto sociale e produttivo sarebbe più efficiente, aumenterebbero gli investimenti e l’occupazione e migliorerebbe il tasso di innovazione nelle imprese”.
Un invito a “studiare” per avviare trasformazioni concrete nelle aziende. “Il cambiamento che l’innovazione porta nei settori tradizionali ci dà l’opportunità di trasformare le imprese, creare nuovi spazi di business, esplorare nuovi mercati – incalza Alessio Rossi, presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria -. Queste trasformazioni aumenteranno da qui a un anno il fabbisogno di professioni Ict tra le 45mila e le 71mila unità. Ancora più determinante sarà quindi colmare il gap di competenze che è una vera emergenza Paese: la cultura digitale deve fare ingresso nelle scuole e nelle università, per creare gli innovatori, i manager, i lavoratori, gli imprenditori di domani”.
In un altro contesto, oggi a Milano, si ritorna sull’importanza delle competenze: l’inaugurazione della mostra su Leonardo al Castello Sforzesco, occasione per presentare la partnership tra il centro di ricerca di Huawei e l’Università di Pavia per realizzare un nuovo Microelectronics Innovation Lab frutto di un investimento complessivo di 1,7 milioni di dollari.
Fabio Rugge, rettore dell’Università pavese, parla di “un’alleanza trasformativa tra università e aziende” tenendo presente che gli atenei hanno iniziato a fare ricerca molto prima della geopolitica e della nascita degli stati nazionali (andando ben oltre dazi o politiche internazionali) ma che le imprese hanno dimostrato nel 21esimo secolo una capacità straordinaria di innovazione, una visione strategica che deve essere messa al servizio della formazione. Che le università devono raccogliere, in un modello win-win.
Così come la politica deve prendere spunto dagli imprenditori (messaggio di Conte) l’università deve cercare alleanze con le aziende (strategia già chiara nella istituzione dei competence center).
“Be the change” risuona così fuori dal Mico. Un caso su tutti presentato al convegno: Valeria Cagnina (co-founder insieme a Francesco Baldassarre della scuola di robotica OFpassiON) a solo 11 anni costruiva il suo primo robot, a 15 frequentava con borsa di studio il Mit di Boston, a 16 fondava la sua scuola di robotica basata sul gioco e sul divertimento che oggi, dopo due anni, è una vera azienda. Messaggio colto.
]]>Siamo a Tallinn, la capitale dell’Estonia. Il paese baltico ospita 1,3 milioni di persone e una delle società digitali più avanzate al mondo. Dalla residenza elettronica al voto online alle carte d’identità nazionali, siamo qui per vedere in che modo l’Estonia potrebbe essere un progetto per altri paesi che desiderano passare al digitale. Per la nostra prima tappa, siamo andati direttamente in cima con una visita al presidente dell’Estonia Kersti Kaljulaid.
Se potessi descrivere la società digitale dell’Estonia a qualcuno che forse non ha mai sentito parlare prima, cosa diresti?
“Puoi richiedere un passaporto, puoi richiedere una patente di guida, vendere la tua auto e acquistare un’auto online, registrarla online. Quindi la maggior parte dei servizi in Estonia quando riguarda il servizio pubblico è digitale. Abbiamo una generazione che è cresciuta sapendo che comunichi digitalmente“.
“Gli estoni si sono resi conto perché hanno abbracciato internet e la tecnologia, gli affari e tutto il resto, si trasferiranno su Internet. Invece di avere solo una carta d’identità offline, hai anche bisogno di qualcosa che funzioni online“.
Siamo all’interno dello showroom di e-Estonia, che mostra molte delle soluzioni digitali del Paese. Daremo un’occhiata all’ID elettronico e alle firme digitali. Ogni estone riceve un ID digitale. Le carte d’identità fisiche sono abbinate a firme digitali che i cittadini usano per pagare le tasse, votare, fare banking online e accedere alle loro cartelle cliniche.
Per un piccolo paese, l’impatto delle firme digitali è stato grande, facendo risparmiare al governo circa il due per cento del PIL all’anno in termini di salari e spese. L’Estonia sostiene che il 99% dei suoi servizi pubblici sono disponibili online 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Ci vogliono meno di cinque minuti per compilare le tasse online, circa un terzo dei cittadini vota online e il 99 percento delle prescrizioni è emesso elettronicamente. Le cartelle cliniche possono essere condivise tra i medici utilizzando un singolo file elettronico che il proprietario può vedere in qualsiasi momento.
“Quindi, qui puoi vedere un elenco di medici con cui sono stato in cura. Tutto ciò che riguarda il tuo stato di salute, la tua salute è qui“.
Un’altra grande caratteristica della società digitale dell’Estonia è il programma di residenza elettronica. In pratica, questo ti consente di avviare una società qui in Estonia anche se non sei residente. Gli e-residenti possono beneficiare del mercato unico dell’Unione europea senza realmente vivere nell’UE. L’Estonia è stato il primo paese al mondo ad offrire residenze elettroniche, e finora oltre 50.000 persone hanno fatto domanda per il programma sin dal suo lancio nel 2014. Perciò siamo sulla buona strada per incontrare Taavi Kotka. Taavi è una presenza ben nota in Estonia come primo Chief Information Officer del paese.
“Abbiamo appena iniziato a pensarci, come possiamo aumentare le persone collegate all’Estonia. Abbiamo dovuto affrontare questa domanda in modo diverso, e abbiamo preso l’approccio che, okay, perché non collegarli digitalmente?”
Quindi, in che modo l’Estonia è diventata così high-tech? Tutto è iniziato nel 1991 quando l’Estonia ha guadagnato
indipendenza dall’Unione Sovietica. Il governo ha intrapreso una serie veloci riforme prioritarie per modernizzare l’economia, e ha visto investimenti in tecnologia come un modo fondamentale per rilanciare la crescita economica. Nel 2000 tutte le scuole erano dotate di computer, e oggi i bambini di sette anni imparano a programmare. Il governo ha anche offerto un addestramento gratuito al computer al 10% della popolazione adulta. Questi sforzi hanno contribuito ad aumentare la percentuale di estoni che usano internet dal 29% nel 2000 a un impressionante 91% nel 2016.
Skype è stata una delle prime storie di successo della tecnologia estone. La società di video chat, che è stata acquistata da Microsoft, è stata fondata qui nel 2003. L’Estonia sostiene che è la patria di più unicorni tecnologici, che sono aziende private valutate in oltre 1 miliardo di dollari, pro capite rispetto a qualsiasi altro piccolo paese al mondo. I suoi recenti unicorni includono la società di pagamenti Transferwise e il concorrente di Uber Taxify. Altre società che si occupano di tutto, dalla blockchain al cibo biologico, ora stanno gareggiando per diventare il prossimo unicorno estone.
“Penso che l’ambiente impostato in questo momento sia molto amichevole e spero che lo mantengano in questo modo“.
Però la strada per una società digitale qui in Estonia non è stata senza ostacoli lungo la strada. Nel 2007, il paese ha subito un massiccio attacco informatico, che ha costretto il governo a prendere provvedimenti per proteggere la sicurezza online. L’Estonia ha aiutato a lanciare un ramo della NATO dedicato alla lotta contro attacchi simili. Il governo ha creato un’ambasciata di dati a Lussemburgo dove memorizza una copia di tutti i suoi dati. E le scuole insegnano “cyber hygiene” a partire dalla scuola elementare. Gli sforzi non hanno fermato del tutto gli attacchi informatici, ma oggi molte persone sono convinte che i loro dati siano più sicuri online che su carta e penna.
“In realtà vedi chi ha accesso ai dati, quali dati sono stati raccolti, perché, come è stato utilizzato. E se hai la capacità di controllarlo, puoi coprirlo, puoi cancellarlo, ecc., In realtà ti dà più privacy “.
Una cosa che abbiamo imparato sulla società digitale dell’Estonia, è che non è sufficiente solo per stare al passo con la tecnologia. Mentre la sua popolazione invecchia, l’Estonia sta cercando di attirare lavoratori altamente qualificati come i nomadi digitali, i lavoratori remoti che usano la tecnologia per svolgere il proprio lavoro in tutto il mondo. Ci stiamo dirigendo da Karoli Hindricks. Lei è l’amministratore delegato di una società chiamata Jobbattical, sta lavorando con Killu Vantsi del Ministero degli Interni estone per sviluppare quello che sarebbe il primo visto al mondo per nomadi digitali. È un esempio di un partenariato pubblico-privato al lavoro.
“Riflette davvero su quale sia la nostra intera politica di immigrazione. Vogliamo attrarre le persone di talento, gli imprenditori che sono vantaggiosi per la nostra società per la nostra economia.
Vedi che è importante attrarre lavoratori qualificati?
“L’altoparlante del mondo, che significa, in questo momento, gli Stati Uniti, o Brexit, sembra che la chiusura sia forte, ma ci sono molti paesi che stanno effettivamente pensando a come renderlo più facile, come attrarre le persone . Dove le persone si muoveranno definiremo il fallimento o il successo di un’economia, giusto?”
Quindi stiamo vedendo come iniziative come il visto per i nomadi digitali e l’e-residency siano start-up e imprenditori incoraggianti qui in Estonia. Questo è il complesso di Tehnopol, ospita oltre 200 compagnie tecnologiche. Priit Kruus ha fondato una società di tecnologia sanitaria la cui app aiuta a rilevare le prime fasi del cancro della pelle.
“Il piccolo ambiente, l’ambiente digitale, le persone, sono molto aperti a nuove innovazioni. Come dimensione del mercato non è così grande, quindi devi davvero pensare in grande al primo passo e pensare ai tuoi piani di crescita anche in altri paesi e in altri continenti “.
Replicare il successo digitale dell’Estonia in paesi più grandi e diversificati sarà più facile a dirsi che a farsi. Dopo tutto, l’intera popolazione qui è approssimativamente equivalente a quella di Dallas. Ma in un mondo che sta diventando sempre più digitale, ci sono molte lezioni che possiamo imparare da questo sguardo al futuro.
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